IL DOLORE CRONICO, UNA MALATTIA INCURABILE?
di Gianvincenzo D’Andrea – Da sabato 5 Ottobre è partita in tutta Italia la XVI edizione di “Cento Città contro il dolore”, la manifestazione promossa dalla Associazione Amici di Isal per sensibilizzare la popolazione al grave e diffuso problema del dolore cronico, per promuovere e diffondere la conoscenza della terapia del dolore e per raccogliere fondi destinati alla ricerca scientifica ed alle attività svolte dalla Fondazione Isal a favore delle persone malate. In tantissime località del territorio nazionale, nelle strutture sanitarie,nelle piazze e nei centri di aggregazione saranno presenti medici e volontari per dare informazioni e consigli sulle cure più utili per alleviare la sofferenza quotidiana di quanti vedono la loro vita sconvolta da una malattia dolorosa cronica. Nel nostro Paese, come è emerso da un recente sondaggio svolto dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con la Fondazione Isal (www.fondazioneisal.it), sono più di 10 milioni i malati di dolore cronico e circa 5 milioni di essi non riescono ad avere le cure di cui avrebbero bisogno.
Questi sono numeri che esprimono chiaramente la gravità del problema. E poi non tutti sanno che il dolore cronico è la malattia più diffusa fra la popolazione italiana e che, per questa ragione, meriterebbe maggiori attenzioni e maggior impiego di risorse da parte del Servizio Sanitaro Nazionale, La situazione, però, dopo oltre 10 anni dall’approvazione della Legge 38 / 2010 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative ed alla terapia del dolore” non appare affatto cambiata rispetto a prima ed ancora oggi in tantissime aree del territorio nazionale non è presente alcuna struttura sanitaria dedicata. Personalmente credo che il problema del dolore cronico non è affrontato, qui in Italia, come si dovrebbe per il fatto che la platea dei malati è composta prevalentemente da soggetti di genere femminile. Per dirla tutta, sono fortemente convinto che se a soffrire di qualche malattia dolorosa cronica si trovassero in prevalenza gli uomini lo scenario odierno sarebbe ben diverso e le istituzioni probabilmente mostrerebbero maggiore interesse ed impegno nella soluzione del problema. Fibromialgia, cefalea, malattia infiammatoria dei nervi pudendi, con il loro corredo di sintomi, a volte gravi ed invalidanti, però colpiscono per lo più le donne e nella nostra società, per qualche ragione difficilmente comprensibile, si ritiene accettabile che esse siano costrette a sperimentiare sulla loro pelle la difficoltà di ottenere sollievo alla loro sofferenza. Comunque, in attesa che che nella nostra società cambi radicalmente l’atteggiamento culturale nei confronti del dolore cronico e della sua cura ( in ambito sanitario come pure nella popolazione) oggi c’è chi si sta adoperando, per così dire, a smuovere le acque.
La Fondazione Isal, ad esempio, ha avviato d a anni un’intensa attività formativa specificamente rivolta a medici, psicologi e infermieri che intendono approfondire le loro conoscenze sul tema dolore per fornire le cure più adeguate ai malati . Perché, diciamola tutta, una migliore cura del dolore cronico inizia da una migliore conoscenza della malattia e purtroppo il numero di ore dedicate all’insegnamento della materia (durante il corso di Laurea in Medicina e Chirurgia) è troppo esiguo perché poi un medico riesca ad affrontare agevolmente situazioni di evidente complessità come quelle presenti in tante malattie dolorose croniche. Va aggiunto poi che un’altra situazione oggettivamente penalizzante per i malati è rappresentata dal fatto che in conseguenza dei tagli apportati al Servizio Sanitario Nazionale (con blocco del turnover del personale medico ed infermieristico ) l’attività di terapia del dolore svolta nelle strutture sanitarie pubbliche è venuta progressivamente a ridursi. In Italia ad occuparsi di terapia del dolore sono principalmente medici specialisti in Anestesia e Rianimazione che nell’attuale situazione di carenze di organico sono prioritariamente chiamati a garantire l’attività delle sale operatorie e delle terapie intensive con la conseguenza che solo una piccolissima parte dell’orario di servizio viene destinata alla cura dei pazienti con dolore cronico. Stando così le cose sarebbe fin troppo facile farsi prendere dallo sconforto e non fare nulla, ma ,come si sa, restare inattivi di fronte ad un problema non risolve il problema.
I malati di dolore cronico, come ho già detto prima, hanno bisogno di aiuto e di cure che diano sollievo alla loro sofferenza , per questo è importante che essi sappiano come e dove è possibile ricevere le terapie piu idonee per il loro problema specifico. Fare ciò significa fornire loro una concreta possibilità di svolta per la loro vita. Troppe volte mi è capitato di incontrare persone psicologicamente distrutte da anni di sofferenza, conseguente a cure non adeguate per la loro malattia, che dopo l’avvio di un trattamenti corretto hanno potuto recuperare la loro serenità. Ridare dignità alla vita delle persone afflitte dal dolore cronico è un impegno che la Fondazione Isal ed i volontari dell’Associazione Amici di Isal portano avanti con passione ed abnegazione. Di certo si potrebbe fare di più e meglio, per questo c’è bisogno di un sostegno più ampio che si manifesti attraverso le donazioni. Una sensibilità più diffusa al problema del dolore cronico, che si realizzi in forme diverse a seconda delle possibilità individuali, rappresenta il presupposto fondamentale ,perché quanti sono afflitti da questa malattia riescano ad avere un futuro il più possibile libero dalla sofferenza che sconvolge la loro quotidianita. Oggi il dolore cronico è curabile in tantissime casi ed è assurdo che molti non per colpa loro !) siano costretti a sopportare un dolore di cui vorrebbero liberarsi. Il sogno della Fondazione Isal è realizzare un Istituto per la Ricerca e la Cura del Dolore dove i malati più gravi possano ( essere accolti e curati al meglio con le cure più aggiornate. Questo sogno potrebbe diventare realtà se in tanti saranno disposti a crederci e dimostrare che la solidarietà nei confronti di quelli più sfortunati fra noi si basa sui fatti e non sulle chiacchiere.