RETI TROFICHE, BIOACCUMULO E BIOMAGNIFICAZIONE

di Maurizio Proietti – Prima di addentrarci in un discorso specialistico è importante chiarire alcuni concetti base come quello della reti trofiche (catena alimentare), del bioaccumulo e della biomagnificazione. Ci tornerà utile per la comprensione dell’inquinamento delle matrici ambientali e le ricadute negative sulla salute umana attraverso la catena alimentare inquinata.

Prendiamo come modello di riferimento la rete trofica marina, che può essere sovrapponibile alle altre.

Ogni livello trofico è popolato da organismi che assumono l’energia necessaria principalmente dal livello trofico inferiore, lo fanno in maniera simile nonostante la maggior parte delle specie non sia collocata in un livello trofico convenzionale unico. Questo accade perché alcune specie modificano la loro alimentazione con il variare dell’età e/o in dipendenza della disponibilità di animali da predare.

Passando ai livelli trofici superiori aumentano sia la taglia degli individui sia i tempi di generazione: è il ciclo vitale.

Se per il fitoplancton la lunghezza del ciclo vitale si misura in ore o giorni, quella dello zooplancton in settimane o mesi, per i pesci si parla anche di qualche anno, per i mammiferi marini di molti anni, così come per l’uomo.  

Per bioaccumulo si intende il processo che determina un aumento della concentrazione di uno xenobio­tico (sostanza estranea all’organismo); quest’ultimo può entrare nell’organismo vivente attraverso gli apparati respiratorio (inalata) e gastrointestinale (ingerita) e cutaneo. Per quanto concerne l’inquinamento dei mari e dei bacini idrici in generale, è impor­tante il fattore di bioaccumulo che corrisponde al rapporto tra la concentrazione dell’inquinante nel biota (complesso degli organismi: vegetali, animali…) che occupano un determinato spazio in un ecosistema e la concentrazione totale dell’inquinante in acqua.

Il termine xenobiotico deriva dal greco xénos, che significa estraneo. Si tratta, infatti, di una sostanza estranea al metabolismo degli esseri viventi che, in dipendenza della sua caratteristica e concentrazione, produce effetti inde­siderati a livello biochimico (processi vitali). Ha la capacità di accumularsi nell’organismo in diversi modi:

  • bioaccumulo: capacità di una sostanza di accumularsi all’interno di un organismo, in conseguenza dell’espo­sizione ambientale e/o attraverso la catena alimentare. Le sostanze che più comunemente danno bioaccumulo sono quelle solubili nei grassi;
  • biomagnificazione: processo in cui un composto chimico si accumula in modo seriale attraverso la catena ali­mentare, passando da basse concentrazioni nella specie preda a concentrazioni più elevate nella specie predatrice;
  • bioconcentrazione: processo che porta ad avere una maggiore concentrazione di una data sostanza in un orga­nismo rispetto a quella presente nell’ambiente.

Possiamo quantificare il bioaccumulo con diverse modalità di approccio:

 

  • empirico, in cui il fattore di bioconcentrazione, o fattore di bioaccumulo, si evince dalla relazione esisten­te tra la concentrazione nell’organismo e nell’ambiente;
  • modello di bilancio di massa, in questo caso vengono determinati gli assorbimenti e le perdite degli xeno­biotici. È un approccio più complesso perché richiede diverse informazioni sulle caratteristiche chimiche del tossico ambientale e sulla fisiologia dell’organismo vivente oggetto di studio.

Tra i principali fattori che influenzano il processo di bioaccumulo negli organismi viventi vanno annoverati l’età dell’animale, il posizionamento nella catena trofica di appartenenza, specifiche capacità metaboliche, durata e modalità di esposizione.

La conseguenza peggiore è il progressivo accumulo di xenobiotici nei tessuti di deposito (in genere grasso) e la loro escrezione attraverso il latte. Ad esempio, nel caso di inge­stione di Policlorobifenili (PCB) l’aumento delle concentrazioni nei tessuti bersaglio è direttamente proporzionale all’età dei soggetti; è maggiore nei maschi rispetto alle femmine, in queste ultime si assiste al trasferimento di parte del carico tossico nel latte. [1]

Un altro aspetto da tener presente è il seguente: un organismo vivente con limitati “sistemi di detossificazio­ne” non è in grado di tollerare uno xenobiotico ambientale con cui viene a contatto; pertanto, i tossici ambien­tali, che possono persistere a lungo negli ecosistemi, possono danneggiare gravemente la componente vitale (biotica).

Appare evidente che la persistenza di certi inquinanti è alla base del fenomeno del bioaccumulo, che attraverso la contaminazione degli ecosistemi terrestri e acquatici entrano nella catena alimentare. Trattandosi prevalen­temente di sostanze lipofile passaggio dopo passaggio si accumulano nel grasso. Nell’organismo umano possono raggiun­gere concentrazioni anche di centinaia di migliaia di volte più elevate rispetto a quelle dell’ambiente circostante. Ciò significa che se vivo nelle vicinanze di fonti inquinanti, giorno dopo giorno li accumulo nell’organismo.

Come già accennato, le vie di penetrazione degli inquinanti nell’organismo sono molteplici, tuttavia quella che più ci interessa è la via digestiva; non vanno però sottovalutate le altre, cioè quella cutanea e quella respi­ratoria. Quest’ultima assume importanza poiché possiamo inalare gli inquinanti direttamente o attraverso il particolato a cui possono essere adesi. All’assorbimento per via nasale consegue un trasporto diretto in specifiche aree cerebrali. Le nanoparticelle con dimensione inferiore a 0,1 micron, attraverso i neuroni olfattivi, raggiungono facilmente il cervello. [2]

Forse, non è un caso che la natura abbia dotato la mucosa olfattiva (naso) di diversi enzimi (isoforme di citocromo P450) necessari per la biotrasformazione degli inquinanti atmosferici, come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), gli epossidi mutageni e financo le specie reattive dell’ossigeno (ROS). Infatti, soprattutto questi enzimi sono una importante prima linea di difesa anche per il sistema nervoso centrale. Gli stessi citocromi presenti nel sistema nervoso centrale hanno minore attività rispetto a quella della mucosa nasale. Se tali enzimi risultano essere insufficienti per il carico tossico degli inquinanti, andremo incontro a danno delle strutture nervose.

A livello dell’apparato respiratorio e gastrointestinale, gli inquinanti inducono il rilascio di mediatori dell’infiammazione che possono attivare la microglia (particolari cellule nervose) vicina alla barriera ematoencefalica (meninge). Di conseguenza si potrebbe avere un’alterazione della risposta immunitaria a livello del sistema nervoso centrale. In altre parole, se assumiamo un inquinante con gli alimenti, i danni possono manifestarsi anche a livello di sistema nervoso centrale, soprattutto se è presente un danno alla barriera ematoencefalica che con­segue all’inalazione di altri inquinanti. A tal proposito è importante ricordare che le afferenze sensoriali del tratto gastrointestinale (nervi con funzione di trasmettere gli stimoli sensoriali) possono rappresentare un’altra via di ingresso per gli inquinanti; infatti, le afferenze del nervo vago a livello gastrointestinale sono direttamente collegate con il tronco encefalico (una delle strutture più importanti del cervello).

Gli inquinanti sono pericolosi soprattutto nelle fasi precoci della vita. Il periodo fetale e i primi anni di vita rappresentano i momenti di maggiore vulnerabilità, perché si caratterizzano per la rapidità della crescita, per il differenziamento cellulare, per l’organogenesi (formazione degli organi) e per lo sviluppo delle reti neurali (sistema nervoso). In queste fasi della vita, un danno conseguente all’esposizione di inquinanti preoccupa di più perché è in questo momento che si gioca la “partita” dello sviluppo futuro dell’individuo. Molti geni sono espressi solo durante queste fasi dello sviluppo, successivamente si “spengono”.

Riassumendo, il risultato dell’interazione tra geni e ambiente è una variabile dipendente soprattutto dai tempi di esposizione a un determinato fattore ambientale e dalla fase della vita in cui si verifica. I danni più importanti sono quelli a carico dei neuroni, della formazione delle reti sinaptiche (collegamenti tra nervi), della migrazione neu­ronale e della formazione dei recettori cellulari.

[1] Tanabe S., Iwata H., Tatsukawa R. 1994. Global contamination by persistent organochlorines and their ecotoxicological impact on marine mammals. Science of The Total Environment. 163–177.

[2] Le sostanze tossiche entrano in contatto con i neuroni bipolari, questi ultimi hanno un lungo dendrite che termina nel nodo olfattivo. Sulle ciglia sono presenti circa 10-20 milioni di recettori deputati a trasmettere lo stimolo al bulbo olfattivo: struttura complessa composta da cellule mitrali, cellule a pennacchio (dette anche neuroni di secondo ordine) e cellule granulari, che sono in stretta correlazione con la commessura anteriore e con il trigono olfattivo. Gli assoni delle suddette cellule, attraverso complesse interconnessioni, entrano in contatto con diverse aree della corteccia cerebrale dove si instaurerà il danno.

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