STORIE OLIMPICHE
di Massimo Di Paolo – Roma 1960 anche l’Italia vive l’avventura olimpica. La regina di quella edizione fu Wilma Rudolph gareggiò e vinse i 100 e i 200 metri piani. La gazzella nera, con la squadra statunitense, conquistò anche la staffetta 4×100. Ma proprio nella stessa Olimpiade, un atleta giovanissimo gli proiettò la sua ombra “declassandola” nell’immaginario collettivo. Irruento e loquace oltre misura, diventando medaglia d’oro sul ring del pugilato olimpico, fece la sua comparsa nel mondo dello sport e non solo e fin da subito non si occupò del politically correct.
Nato con il nome di Cassius Marcellus Clay, crebbe come pugile, diventando campione del mondo dei massimi. La sua storia di vita si caratterizzò per l’impegno sociale e politico oltre che sportivo. Aderì alla Nation of Islam e divenne Muhammad Ali. Figura carismatica, controversa dentro e fuori del ring. Si dedicò alla causa del separatismo nero influenzato da Malcom X. Divenne un mentore delle cause dei neri. La sua storia di atleta resta inenarrabile, “The Greatest” fu chiamato e trasformò radicalmente l’immagine del pugile afroamericano. Morì nel 2016. La sua ultima immagine, impressa nella memoria di milioni di sportivi, fu quella di tedoforo mentre porta la torcia olimpica ad Atlanta 1996 ormai vecchio e malato.
Tremolante ed incerto, con i segni del Parkinson molto evidenti che avevano fatto svanite tutto del gigante che “volava come una farfalla e pungeva come una vespa”. Procedeva claudicante tenendo la fiaccola con la tenacia del suo spirito indomito, la metamorfosi era in atto, stava nascendo un eroe.
Cresciuto nelle campagne del Texas in una famiglia di quattordici figli. Tommie Smith, quello del pugno nero alle olimpiadi di Città del Messico insieme a John Carlos. Non una semplice immagine di una premiazione olimpica, ma la foto rimasta nella storia dei diritti dei neri d’America. Da quel podio che accoglieva i finalisti dei 200 metri nasceva la storia di “Jet” così veniva chiamato uno dei più grandi sprinter della storia dell’atletica americana.
Ha dedicato la sua vita allo sport e alla questione dei neri d’Africa. Vita dura quella vissuta adatta per imparare a sopportare il dolore necessario per diventare un finalista olimpico. Campi di cotone fin da giovanissimo, l’arrivo al College per studiare sociologia, lezioni di giorno lavoro di notte poi, con quelle gambe velocissime, nell’Olimpo. Oggi Tommie Smith è a Parigi, accompagna la squadra olimpica degli Stati Uniti d’America. A 80 anni compiuti lo rintracciamo in queste sue parole: “Tutto quello che serve a liberare le persone è utile, i diritti non hanno una fine, né un capolinea e non c’è un momento in cui ti sdrai perché hai ottenuto tutto”.
Furono i Giochi dei record non solo sportivi. A fronte di star come Carl Lewis e Michael Jordan con le loro prestazioni straordinarie, la “storia olimpica” che rimarrà per sempre nelle testimonianze nascoste e spesso dimenticate dei Giochi di Atlanta, fu quella di Lida Fariman.
Iraniana, gareggiò nel tiro con la carabina, l’unica disciplina che facilitava l’uso del velo, dell’hijab. Fu la prima donna del suo paese a cui fu concessa la partecipazione a una Olimpiade dalla Rivoluzione islamica del 1979.
I Giochi Olimpici che si effettuarono a porte chiuse portarono grandi storie. Tokyo 2020, le Olimpiadi del Covid-19, con 206 comitati olimpici presenti incluso quello degli Atleti Rifugiati. Dato interessante, oltre che di grande speranza e di grande evoluzione, la presenza femminile che toccò il 42 %. Veniva da dire “ci siamo quasi”.
La storia olimpica di quella edizione, la fa però una neozelandese iscritta per il sollevamento pesi femminile. Loren Hubbard, si aggiudica un record storico infrangendo uno stereotipo duro da far evolvere nel mondo dello sport. È la prima atleta transgender che con la sua partecipazione fece respirare, a tutti, più libertà.