LA FIGURA DEL POETA BUGNARESEVITTORIO CLEMENTE IN UN LIBRO DI MAURO CIANFAGLIONE
Mauro Cianfaglione è un docente di Scuola media (o Scuola secondaria di primo grado, secondo il nuovo linguaggio ministeriale) in pensione, ma è anche un instancabile operatore culturale (e lui si deve l’ideazione e l’organizzazione del Premio “Antonio De Nino”) e uno studioso attento alle vicende culturali del suo paese natio (che è anche il mio), Pratola Peligna. Qualche tempo fa, dovendo approfondire alcune ricerche in ambito scolastico, si avventura nell’archivio della Scuola elementare (pardon, Scuola primaria!) pratolana, trovandovi una grande confusione. Cercando di sistemare il cafarnao causato dalla negligenza di chi avrebbe dovuto ordinarlo, si imbatte in un antico documento su cui legge: «1926. Cominciando il mio lavoro dico a me stesso: amico, rifai la tua anima e il tuo cuore avvicinandoti serenamente all’anima e al cuore dei fanciulli e sarai Maestro». Questo ispirato proponimento è firmato da Vittorio Clemente (Bugnara, 1895 – Roma, 1975), certamente il più grande poeta dialettale abruzzese, il quale, prima di essere Direttore didattico e infine Ispettore scolastico a Roma, aveva lavorato come maestro in alcuni paesi peligni, tra cui Pratola, ma anche in un comune all’estremo sud della regione (quasi al confine col Lazio), Villavallelonga. Cianfaglione dunque rinviene il registro scolastico del maestro Clemente, insieme a un’altra importante quantità di materiale: come la richiesta di encomio che nel 1924 il Commissario prefettizio inoltra all’Ispettore scolastico del Circolo di Avezzano, «per il modo oltremodo lodevole, col quale il Clemente disimpegna la sua alta missione di educatore, il suo sentito apostolato», o la soddisfatta relazione sul suo operato in qualità di Direttore delle scuole uniche rurali, firmata nel ’34 dal presidente delle Scuole per i contadini dell’Agro romano, Alfonso Postiglione (zio del poeta e anarchico raianese Umberto).
Questa ricerca porta alla pubblicazione di Vittorio Clemente, maestro e poeta (Pratola Peligna, Tipografia Vivarelli, 2023). Certamente il documento di maggiore importanza del volumetto, che oltre ad essere riprodotto fotograficamente viene trascritto nella sua interezza, è il registro tenuto da Clemente nell’anno scolastico 1927-28. Cianfaglione lo mette giustamente sotto il titolo di “Cronaca scolastica”, trattandosi di una vera e propria cronistoria che, anche negli appunti più stretti e concisi, denota sempre una finezza diaristica. In questa relazione giornaliera, si alternano momenti di sconforto – «Le iscrizioni procedono a rilento, quasi con fiacchezza. Ormai sono alla fine. Tuttavia perdura la confusione, l’indecisione e l’incertezza, specialmente a causa della benedetta pagella che sembra diventata come la mitica araba fenice… che ci sia ognun lo dice, dove sia niun lo sa (14 settembre)» – ad altri di rinnovato ottimismo – come quando si occupa personalmente di arredare l’aula: «Su carta da imballaggio, aiutandomi con carbone, pastelli e gesso, ho disegnato alla meglio, a grandi tratti, dei motivi ornamentali […]. Disegni che non valgono e non dicono nulla… che fanno figura solo da lontano. Ma hanno mandato in visibilio i miei diavoletti che guardano il loro maestro come… un grande pittore…!» (30 settembre) -, fino a riflessioni sui processi educativi da adottare – «Badate, colleghi – ho detto io – a me sembra che i programmi [di disegno] vogliono che l’alunno non riproduca precisamente le linee e le forme esteriori di una cosa, ma piuttosto dia una qualsiasi espressione grafica all’impressione che la cosa ha prodotto nel suo spirito. Non so se mi spiego, ma noi le cose non le vediamo soltanto nella loro materialità, ma soprattutto attraverso la nostra spiritualità. Noi le spiritualizziamo le cose; e soltanto attraverso lo spirito noi le riproduciamo. E il fanciullo riproduce ciò che maggiormente lo impressiona» (9 dicembre) -.
In appendice ci sono delle vere chicche, come l’articolo inedito Clemente e la poesia per ragazzi di Ottaviano Giannangeli, al quale si deve, dopo l’iniziale interessamento di Pier Paolo Pasolini, l’impegno maggiore nella diffusione dell’opera clementiana (insieme allo stesso autore di Bugnara, egli cura la sua omnia poetica, Canzune de tutte tiempe, edita a Lanciano nel 1970, di cui realizza anche le traduzioni metriche). L’articolo parte dalla prefazione che Clemente scrive per la raccolta poetica L’ocarina di Giuseppe Porto, in cui critica certa “poesia per ragazzi” che, secondo lui, mortificherebbe il gusto e l’intelligenza dello scolaro, il quale svolge invece un ruolo creativo anche quando legge o ascolta, reinterpretando personalmente la realtà attraverso le sue capacità percettive e immaginative. Giannangeli allora esemplifica gli elementi tipici di detta letteratura riscontrabili nella poesia clementiana, a cominciare dai volatili, come l’usignolo, il cuculo, ma su tutti l’ovalò, un uccello fantastico a cui è dedicata una delle sue poesie più famose: «D’arie le piume e d’òre, l’ovalò / che nse trove, e che cante chi sa ddó».
A proposito di letture per ragazzi, Cianfaglione stila un elenco delle poesie che Clemente fa imparare ai suoi alunni: molto Pascoli e Carducci, giusto una poesia di D’Annunzio (I seminatori), e poi autori come Ada Negri, Mazzoni, Guerrini, Gozzano, Moretti (sono presenti anche delle poesie clementiane). Inoltre riesce a recuperare un libro di “prime letture” curato da Clemente, Belmondo (Roma, 1954), di cui sono riportati degli estratti. Altra chicca è la testimonianza del pratolano Francesco Santilli (viene riportata anche la sua pagella) che nell’anno scolastico 1928-29 è allievo di Clemente.
Non mancano spunti di riflessione. Cianfaglione storicizza il ruolo del maestro elementare in un periodo, quello tra Otto e Novecento, in cui la scuola va affermando faticosamente la propria identità: «Quest’ultimo [il maestro] era percepito dal popolo come il depositario del sapere, ma, nel periodo post-unitario, anche gli intellettuali, a partire da Francesco De Sanctis, primo ministro della pubblica istruzione del Regno d’Italia, avevano maturato la convinzione che l’istruzione elementare, che coincideva con la figura del maestro, era l’unica strada possibile per strutturare e organizzare uno stato forte, autonomo e indipendente, al pari di quelli europei. Ne derivava la necessità di puntare sulla formazione degli educatori, ovvero sui titoli e – per usare un termine in voga nella scuola contemporanea – sulle competenze che i maestri dovevano possedere alfine di esercitare questa delicata professione».
Con questo lavoro di ricerca documentale e fotografica, Mauro Cianfaglione ha il merito di aver riportato all’attenzione la figura di un grande umanista della nostra regione che svolge il suo ruolo educativo in un periodo delicatissimo della storia del Paese, in una scuola in piena fase di assestamento dopo l’ascesa al potere del fascismo. E lo fa con la dedizione e la delicatezza dell’allievo per il “maestro”.
Andrea Giampietro