IN BICICLETTA TRA LE RIGHE
di Massimo Di Paolo – Sarà l’età o l’eccesso di nuoto, non proprio conforme allo sforzo che richiede il pedalare in bicicletta, ma le svolte che la strada compie dal “ponte dei fascisti” per salire a Cansano, mi sono sembrate toste assai quest’anno. E mentre arrancavo mi chiedevo perchè dell’andare in bici si parla e si scrive così tanto. Come si fa a rendere una fatica, che può presentarsi spesso inesorabile, una poesia. Brani di letteratura o narrazioni che rasentano la psicanalisi. Eppure i racconti di bicicletta molto spesso non sono stati, e non sono, semplici narrazioni di itinerari, o analisi per campioni, o riempitivi per tabelle di allenamento. Sono appunto, racconti. Scritti di fatti reali e immaginari, di sensazioni, di sofferenza, di tenacia, di depersonalizzazione, di ricerca.
Viaggi dentro la propria anima. Descrittori che toccando le motivazioni profonde, quelle che restano nascoste, che diventano nitide attraverso le sensazioni percepite, mediate dai rimandi che il corpo ci lancia, rendendole visibili. Le chiamano proiezioni quelli che studiano la mente, una sorta di empatia dilatata verso l’ambiente circostante e verso le dimensioni, i rumori che portiamo sempre con noi ma che raramente riconosciamo. Quando sopraggiungono le salite, le svolte che si inerpicano, o i tornanti messi in serie, allora la cosa si fa ancora più seria, si assapora l’amaro della paura di non potercela fare, la sconfitta, il limite personale. Improvvisamente non siamo più arroganti, egocentrici, individualisti. Perdiamo ogni forma di cinismo verso l’altro, e il pedalare, ancora di più se duro e lento, si trasforma: diventa un anelito alla convivenza alla ricerca dell’altro, all’aiuto, al supporto.
Diventa un confessionale in cui si riesce a gridare quanto si può essere deboli. Il pedalare sofferente, che ci fa riscoprire corpo, mente, affetti, emozioni e soprattutto ricordi, diventa un cammino di pacificazione con l’ambiente, con gli altri, ma soprattutto con sé stessi. Dicono che poi si sta meglio, ci si sente bene: forse per le endorfine prodotte, o ancora di più, perché durante le lunghe pedalate in bicicletta ci imbattiamo con quei pezzi di noi che non ci piacciono, quelli che non vogliamo riconoscere: li disapproviamo un po’ meno e qualche volta ci facciamo pace. Di fatto, tutti i grandi racconti che parlano di bicicletta narrano di convivenze, di rotture e di riparazioni possibili quando il ritmo del respiro, del cuore, del pedale si sovrappongono. E non occorre essere sportivi o dei campioni è la bicicletta lo strumento terapeutico, quello che offre le chiavi per il cambiamento. D’altronde ogni pedalata può finire con una resa, con una pianura o con il vento sulla fronte.
Per una bellissima lettura di conoscenza e approfondimento degli spunti lasciati “Libri & Visioni” vuole suggerire un libro magnifico -forse insostituibile – storie di “pedalatori” nascosti e sconosciuti ai più. Di Claudio Gregori “I vagamondi” – scrittori in bicicletta – edito da 66THA2ND. Una esplorazione di passioni, rituali, uso e disuso della bicicletta in poeti e scrittori. Testimonianze romantiche, nostalgiche, tutte da ricordare. Da Salgari alla Fallaci, da Beckett a Garcia Márquez. Le pedalate sui vialetti universitari di Einstein o sui grandi Tour insieme a Buzzati, aspettando il pezzo che ci racconta di un Pasolini.
Tra i bellissimi brani, racconti e storie scegliamo una frase che ci riporta al “cambiamento”. La scrisse Gianni Brera e a noi piace condividerla: “vedere pedalare in serena scioltezza uomini e donne … incoraggia sinceramente a vivere”.
La bicicletta, la fatica, i tornanti, i tracciati solitari, le montagne, gli alberi, il vento, gli animali, i colori, gli odori…e allora sì che mi riappacifico con me stessa e mi lascio andare. Grazie Massimo per l’ennesimo viaggio pieno di ricordi ed emozioni, perché la vita è bella
Un articolo bello e molto particolare complimenti . Trova origini nel suo lavoro. Comprerò il libro consigliato .