LE MIOPIE DELLA LINCE, LA CORRISPONDENZA TRA GIANNANGELI E CALVINO

Nel centenario della nascita dello scrittore Italo Calvino pubblichiamo questo articolo di Andrea Giampietro.

Sulla rivista “Dimensioni” (a. IV, n 3-4, maggio-agosto 1960), da lui diretta insieme a Giuseppe Rosato e a Giammario Sgattoni, Ottaviano Giannangeli pubblica una recensione al romanzo Il cavaliere inesistente di Italo Calvino (Einaudi, 1959), il cui mancato riconoscimento al Premio Strega aveva suscitato delle polemiche. Dopo aver accostato, pur con qualche riserva, lo stile di Calvino a quello di Emilio Cecchi («… ma significherebbe questo accostamento un limitare e impacchettare lo straordinario talento di Calvino, e non sottolineare la sua virtù pregnante e caratteristica, che è quella della continuità della sua fantasia, che in Cecchi è esasperazione momentanea e si addice al modo della narrazione d’arte e non alla favola romanzata»), Thomas Mann e Anatole France, Giannangeli riconosce, come Maestri del suo «umorismo esistenziale, drammatico, modernissimo», nientemeno che Ariosto, Cervantes e Shakespeare. Eppure Calvino riesce ad elaborare un proprio stile favolistico in cui le trovate paradossali si fanno indice della tragicità insita nel quotidiano; della favola egli predilige gli aspetti macabri e grotteschi che tuttavia sa elevare, “contravvenendo” alla nettezza della sua ragione, a un alto grado di comprensione e umanità. A proposito del suo cammino sul doppio binario dell’Assurdo e del Reale, Giannangeli scrive: «Non importa che tutto si accampi in una sfera di surrealtà, che l’eroe in cui Calvino si riconosce non esista come accezione corporea, è proprio l’annullamento dei sensi che determina la estrema vibratilità del pensiero; le cose, il mondo, esistono in quanto caparbiamente inseguite, cacciate, fatte lievitare e poste in ordine, assettate da una mente. […] L’importante è tentare di ricercare nell’apparentemente paradossale di una creatura un rigore logico, una legge insita solo in essa, che ne determini la volontà e renda attuale l’agire». E se il cavalier Agilulfo, nella sua determinazione a voler “porre in ordine” ogni cosa, finisce per perdersi nei “marasmi” in cui s’imbatte, il suo scudiero, Gurdulù, in virtù del suo “disordine mentale”, può meglio giostrarsi laddove regna il caos. In un monologo di Gurdulù che si confronta con un cadavere, il recensore arriva a riconoscere una «mossa dell’Amleto».

Calvino legge la recensione e, il 7 ottobre 1960, scrive a Giannangeli per ringraziarlo: «Caro Giannangeli, ho letto quanto Lei scrive sul Cavaliere inesistente e sono molto contento e grato di come Lei intende il mio lavoro. Il richiamo a Cecchi è molto impegnativo: le finezze di prosatore di Cecchi sono inarrivabili; pochi come lui sono riusciti a esprimersi (e a nascondersi) così compiutamente coi soli mezzi dell’impasto della frase e del contrappunto tra diversi piani linguistico-psicologici. Gli altri nomi che Lei cita, figuriamoci se non sono contento, ma sono troppo grossi, a meno che Lei non li appoggi su una citazione, per indicare le intenzioni d’un determinato momento (come la “mossa shakespeariana” del monologo di Gurdulù col morto). Il solo nome tra quelli che Lei fa, che, non so bene perché, non mi è mai garbato, è Anatole France. Anche Mann c’entra poco, ma con France siamo proprio in urto. La saluto con viva cordialità. Italo Calvino». Nel volume Le care lettere (Raiano, Amaltea-GraphiType, 2004), in cui raccoglie il meglio dei suoi scambi epistolari coi grandi nomi della cultura italiana, Giannangeli commenta la risposta di Calvino: «… egli avallava le mie capacità di lettore, anche se degli autori moderni gettati da me un po’ genericamente sulla pagina il solo Cecchi egli trovava rispondente al suo gusto di scrittore, anzi ambìto modello. Pure, per Mann e France, qualche occasione fresca di lettura mi proponeva accostamenti e situazioni, magari periferiche, di Calvino: ad esempio, il finale di Il cavaliere inesistente […] mi richiamava, a caso capovolto, la conclusione del romanzo Thaïs di Anatole France con la storia di Taide e Pafnuzio».

Nell’estate 1960 lo scrittore abruzzese aveva steso febbrilmente il suo primo romanzo, Sposare una. Approfittando del rapporto nato con Calvino, “direttore letterario” per Einaudi, Giannangeli propone alla casa editrice milanese la pubblicazione della sua opera. Tuttavia Calvino, oberato di lavoro, gira il romanzo al collaboratore Cesare Cases. Il 12 dicembre 1960 Giannangeli scrive ad entrambi: «Sposare una per gli italiani potrebbe rappresentare un “caso”, per gli Abruzzesi dovrebbe essere senz’altro una epopea. Mi ha preso completamente e in esso ho rifuso delle pagine stilate ben diciassette anni fa, allorché contavo venti anni. L’esplosione ha quindi tenuto dietro ad una incubazione di lustri. […] Poiché (come affermo anche nel romanzo) una creazione si colloca nel tempo e sfrutta particolari espedienti e mezzi stilistici che dovranno, più che inserirlo, calarlo nella società alla quale apparteniamo e che ci ha fornito i suoi spunti, anche polemici, desidererei che il romanzo venisse letto con una certa sollecitudine per essere avviato, se ritenuto significane e positivo, alla stampa. Se non vi quadra, vorrei pregarvi di rispedirmelo subito». Cases risponde il 13 gennaio 1961: «Più che al Suo nome tutelare Ferdinando Galiani, mi pare che il Suo libro si ricolleghi a tutta una tradizione che va da Sterne a Carlo Emilio Gadda. Apprezzo particolarmente certi excursus e il Suo modo di utilizzare la cultura sia dotta che popolaresca […]. E apprezzo moltissimo la Sua capacità di evocare il passato ed il presente della Sua terra e della Sua casa». Però il libro gli appare «difficilmente pubblicabile, se non altro perché non sapremmo davvero in che Collana piazzarlo. Comunque per un giudizio definitivo mi appello all’amico Calvino cui spedisco oggi il volume. Mi rincrescerebbe che molte pagine, in particolare il primo capitolo con la bellissima presentazione della casa, restassero inedite». Calvino risponderà il 18 gennaio: «Caro Giannangeli, sarà stato contento del prontissimo ed esauriente giudizio di Cases. Non c’è purtroppo speranza che io possa leggere il suo manoscritto prima di 6-8 mesi, e per non farLe perdere tempo, lo dirotto verso gli amici che leggono per il “Menabò”. Come vede siamo un miracolo di efficienza e rapidità. Cordiali saluti. Italo Calvino».

Purtroppo con Einaudi le cose non andranno a buon fine. Il 19 giugno 1961 la scrittrice aquilana Laudomia Bonanni, che tenta senza successo di far pubblicare Sposare una da Bompiani, scrive lapidariamente a Giannangeli: «Calvino è un arrivato con tutti i difetti dell’arrivato vecchio, lui ch’è un giovane». Non si dimentichi che l’autore del Cavaliere inesistente avrebbe bocciato il romanzo di un altro abruzzese illustre: La compromissione di Mario Pomilio, poi edita da Vallecchi nel 1965. Sposare una sarà pubblicato come numero speciale della rivista “Dimensioni” (a. IX, n. 3-6, maggio-dicembre 1965). Lo stesso Calvino avrebbe fatto mea culpa sulle sue “disattenzioni”, ammettendo di essere tra coloro che «se avessero visto un manoscritto di Svevo non si sarebbero accorti d’avere a che fare con uno scrittore». Anche una lince, dunque, ha le sue miopie

Andrea Giampietro