DONNA PERSEGUITA L’UOMO CONOSCIUTO PER CHAT, CONDANNATA A NOVE MESI DI RECLUSIONE
Questa volta ad essere perseguitato è stato l’uomo, originario di Sulmona, che non riusciva a liberarsi della donna conosciuta in chat con la quale aveva avuto una breve conoscenza di circa 20 giorni. Telefonate a tutte le ore del giorno, ripetuti messaggi fino a raggiungerlo sul luogo di lavoro, costringendolo a cambiare le sue abitudini di vita e, più volte, le sue utenze telefoniche. Ieri, la vicenda che rovescia la consuetudine di un reato come lo stalking prettamente maschile, è approdata davanti al giudice con l’imputata Benedetta DI PAOLO, donna di mezza età originaria di Pescasseroli, che è stata condannata a nove mesi di reclusione, 5 mila euro a titolo di provvisionale nei confronti della vittima, cioè l’uomo il risarcimento da liquidare in separata sede. La donna era finita sotto processo per atti persecutori nei confronti di un agente di polizia penitenziaria che, come detto, aveva conosciuto in un sito d’incontri on line. I due, lui originario di Sulmona e in servizio nel carcere di Parma e lei di Pescasseroli, si erano conosciuti in una chat di incontri on line. Dopo circa due mesi di conoscenza virtuale avevano deciso di incontrarsi di persona. Primo appuntamento il 3 agosto 2016 a Pescasseroli. Dopo il primo incontro ne seguirono altri con una frequentazione di circa venti giorni. Una storia molto breve che si interruppe subito per decisione dell’uomo. La donna che si era ormai invaghita dell’agente di polizia penitenziaria, non ha accettato la decisione iniziando a tempestare l’uomo di telefonate e messaggi, a tutte le ore del giorno. Arrivando a spostarsi fino a Parma, sul luogo di lavoro della vittima e perfino a fingersi incinta pur di cercare di convincere il poliziotto a tornare sui suoi passi. Una situazione impossibile che costrinsel’uomo, assistito dall’avvocato, Serafino Speranza, a denunciarla. Ieri, per la donna è arrivata la condanna da parte del giudice monocratico Francesca Pinacchio.
Per i reati gravi, nemmeno le iniziali, per questo, nome e cognome dell’imputata, complimenti alla coerenza!