CENTRO STORICO: UN’IDEA, UN PROGETTO, UNA VISIONE

di Massimo di Paolo –  A Sulmona, ormai da molti anni, viviamo una condizione emotiva simile a molti paesi del sud d’Italia, compressi tra impoverimento e bisogno di rinascita. Il sentimento spesso condiviso si pone tra la speranza e la nostalgia. Frequentemente si evocano eventi del passato come una sorta di utopia, utile per esorcizzare le storture del presente e si sottolineano i problemi rimasti irrisolti durante gli ultimi decenni, nel passaggio tra tradizione e modernità.

Anche se non dichiarata dai più attempati, forse per ritegno o riservatezza, le narrazioni sono impregnate di nostalgia verso una Sulmona che fu. Un sentimento dalla doppia anima ambivalente e lacerante per alcuni aspetti. Con una forza attrattiva verso il passato, dove non si può e non si vuole tornare, e una spinta altrettanto forte verso una condizione altra, sconosciuta, non dichiarata, non rappresentata. Sembriamo in alcuni momenti degli esuli: chi siamo noi?

In questa condizione si calano spesso l’insipienza delle scelte, la mancanza di coraggio, la mancata trasformazione in atti chiari,armonici, coordinati da un’idea e da una visione generale. Quale Sulmona vogliamo avere, quali caratterizzazioni dobbiamo coltivare rafforzare definire. Chi saremo? 

Sembra un’analisi introspettiva ma non lo è.

Il cuore della nostra bella città, il centro storico, ha bisogno non di nostalgia ma di scelte a partire da una visione: come vogliamo essere e come deve diventare il nostro centro storico. Un progetto di ampio respiro governato da una rappresentazione.

Una visione da condividere con tutta la cittadinanza dichiarando le scelte, le rinunce necessarie, i sacrifici, i tempi, le modalità, le ricadute sociali ed economiche, gli adattamenti, i contributi da offrire. Così per iniziare, per scaldare le idee, per creare partecipazione, per capire che non si tratta solo dei residenti, deicommercianti, dei giovani  ma di molto altro ancora, si potrebbero impostare delle assemblee per esclusione. Non vogliamo essere centri di “compra-vendita”diffusi, non vogliamo essere un villaggio turistico aperto solo d’estate, non vogliamo essere una città con lo “storico centro” abusato, pacchiano, disorganizzato.Non vogliamo essere cittadini esclusi, non responsabili della propria città, non vogliamo essere discoteche all’aperto, non vogliamo essere una città antica in decadimento, non vogliamo essere una città imbalsamata, non vogliamo avere un sistema di controllo fatto su norme non coerenti che non trovano ragioni.

Le soluzioni facili, aiutano poco e banalizzano la complessità.Occorre ascoltare e ascoltare in senso profondo. La cittadinanzaintorno a un tavolo con le rappresentanze.  Prima di passare dall’idea al progetto, occorre forse ri-pensare non la città o il centro storico, ma la comunità. Per contrastare il declino occorre innanzitutto ridefinire una identità. Un progetto non può passare attraverso interventi a “macchia di leopardo”, senza un’armonia e soprattutto senza un modello generale di riferimento. La cittadinanza con tutte le sue componenti deve conoscere anticipatamente il labirinto d’affrontare. Ma soprattutto, il “chi vogliamo diventare”, deve essere chiaro e dichiarato affinché gli interventi possano essere autorappresentati, progressivamente, come in una pittura in evoluzione. Ogni cittadino si sentirà progettista consapevole, artigiano partecipe, buttando via quella brutta sensazione che si vive quando si subiscono scelte e azioni altrui. Una comunità che diventa colloquiale, aperta, proponente, in grado di riconoscere altri stakeholder e altri bisogni. Il politico di turno che decreta, che sancisce ciò che va fatto con la sicumera dell’esperto, del sapiente che guarda il mondo dal colle delle vacche si estinguerà per consunzione.

Regolamentare i dehors certamente. Insieme alla cartellonistica, ai servizi di ritiro spazzatura, alle aree di sosta, agli angoli di incontro, al controllo e regolamentazione degli amici  “quattrozampe”, al monitoraggio notturno dei fine settimana,anche attraverso educatori/animatori sociali del Centro Giovani, il piano rumore non come carta dettata ma come partecipazione a comportamenti virtuosi, gli esercenti impegnati nella pulizia delle aree prossimali, nel decoro, nell’abbellimento delle vetrine.

La valorizzazione dei beni strutturali a partire dai musei (possibilmente a temperatura umana), la formazione di gruppi di autogestione dei trasporti turistici, le manifestazioni culturali curate nelle rappresentazioni, nelle organizzazioni, nelle ricostruzioni storiche.

Un progetto unico, retto da una visione e da una scelta che prende concretezza con azioni e cura molari, luogo per luogo fino ad arrivare a spazi e botteghe.

Per ultimo il coraggio. il progetto SAI (Servizio Centrale del Sistema di Accoglienza e Integrazione) è stato “scostato” eppure uno dei problemi più evidenti sono gli immobili vuoti, le case chiuse. Il coraggio. Roberto Saviano scrisse: “l’immigrazione, per un Paese demograficamente morto come l’Italia, è una benedizione e una necessità”.

Per ultimo: formazione, studio dei processi di commercializzazione pregiata e di nicchia, riprofessionalizzazione delle attività commerciali, politiche de-tassative dei locali commerciali sfitti e abbandonati, politiche di “vantaggio prossimale” per le aperture di attività consone al progetto e attuate da giovani, politiche di sviluppo e del lavoro, specie specifiche, per le aree a valore storico.

Appaltare un progetto con i riferimenti del PNRR può essere una opportunità ma gli argini, la visione il contesto di progetto, gli orientamenti, le variabili fisse, devono nascere da chi vive la città, dalle contaminazioni dei bisogni, dall’impegno e dal sentore civico.

Il nostro “storico centro” come una formidabile occasione di progettazione di comunità. La nostra.

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