RIVEDE LA LUCE L’ALMANACCO SCOLASTICO DI UMBERTO POSTIGLIONE
di Andrea Giampietro – Dopo quasi cento anni dalla sua pubblicazione, vede nuovamente la luce il volume scolastico curato da Umberto Postiglione: La terra d’Abruzzo e la sua gente. Libro sussidiario per la cultura regionale per le classi III, IV e V elementare. Edito nel 1925 dalla torinese Paravia, nella Collezione almanacchi regionali (diretta da Roberto Almagià), viene oggi riproposto dalla FrancoAngeli di Milano, nella collana Scienze della Formazione. Il curatore di questa ristampa è Edoardo Puglielli, docente di Filosofia e Scienze umane nelle scuole secondarie di secondo grado e dottore di ricerca in Pedagogia, che alla riscoperta della figura di Postiglione ha dedicato gran parte della sua attività di studioso e ricercatore (l’ultima “fatica” in tal senso è la biografia L’autoeducazione del maestro. Vita di Umberto Postiglione, Collana di Studi storici dell’Istituto abruzzese per la Storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea, Ortona, Menabò, 2020). La lunga e dettagliata introduzione di Puglielli contestualizza storicamente la pubblicazione di un’opera che rientra nella serie dei “libri sussidiari per la cultura regionale”, richiesti espressamente dal Ministero dell’Istruzione in seguito alla riforma Gentile (1923). Uno dei maggiori promotori fu il pedagogista catanese Giuseppe Lombardo Radice, secondo cui questa operazione «avrebbe contribuito sia a colmare il distacco tra scuola e vita, avvicinando l’istruzione scolastica all’esperienza quotidiana, sia a condurre gradualmente il popolo italiano verso il più elevato ideale di “patria”». L’impegno che si richiedeva ai compilatori dei sussidiari era di adoperare un linguaggio schietto e concreto, direttamente comprensibile dai fanciulli, e di arricchire il volume – oltre che di racconti e poesie del folclore – d’immagini che illustrassero le nozioni relative alla storia e alla geografia della regione. Umberto Postiglione, che era nato in Abruzzo, a Raiano, nel 1893 e aveva trascorso gran parte della sua giovinezza negli Stati Uniti, dove era stato membro attivo del movimento anarchico, aveva avuto la sua prima esperienza pedagogica in Costa Rica, e precisamente a San José, insegnando lingua italiana presso l’Università agraria. Rientrato in Italia, nel 1923 conseguì il diploma di abilitazione elementare alla Scuola Normale dell’Aquila e, dopo aver superato brillantemente il concorso magistrale, ottenne una prima classe nella scuola elementare di San Demetrio ne’ Vestini, in provincia dell’Aquila. Ma dopo qualche mese, il 28 marzo 1924, fu colto dalla morte (probabilmente in seguito a una forma malarica contratta in Sud America). Tuttavia aveva fatto in tempo a partecipare al Convegno magistrale all’Aquila (17 novembre 1923), organizzato dal provveditore agli studi Giovanni Ferretti, dove presentò una relazione, dal titolo L’autoeducazione del maestro, in cui esprimeva un monito contro l’impaludamento della cultura dei docenti: «Nei più la mancanza dei motivi intimi che promuovono l’autoeducazione dipende da un difetto acquisito. La cultura del maestro elementare è portata ad essere dogmatica, è stato detto ed è un fatto. […] La mentalità della stragrande maggioranza dei maestri si caratterizza in ciò che in essa si spezza in due il processo dell’imparare e dell’insegnare. Prima imparare come studente, e poi, entrando nella scuola come maestro, solamente e semplicemente mettere in opera ciò che si è imparato. Chi di voi mettendo il piede per la prima volta sulla soglia della scuola si è sorpreso in una sensazione di perplessità e si è domandato nel suo intimo: vado qui ad insegnare o ad imparare? Quegli è legittimamente maestro. Il peggio è che presto o tardi si cade nella meccanicità, nell’automatismo e di qui l’assenza di ogni motivo all’autoeducazione, che è, non lo avremo mai ripetuto abbastanza, ansia ed anelito dell’animo nostro sempre aperto a tutti gli stimoli, a tutte le suggestioni, a tutti i moniti, a tutti gli ammaestramenti che la vita ci offre nella sua turgida ricchezza: aculeo a sapere sempre più e meglio, a riesaminare, a rivivere il proprio sapere». Sempre in quel periodo firmò un contratto con la casa editrice Paravia di Torino per realizzare il succitato almanacco scolastico di cultura regionale. Purtroppo non ebbe il tempo di completare il progetto che fu portato a termine da suo zio, il maestro e direttore didattico Alfonso Postiglione, e da Giovanni Di Giusto, maestro e ispettore scolastico centrale. Tuttavia, in un importante libro commemorativo dedicato al giovane raianese, In memoria di Umberto Postiglione (L’Aquila, Vecchioni, 1925), Vincenzo Marchesani individuò, certamente su indicazione di Alfonso Postiglione, alcuni dei passi redatti da Umberto, come quelli intitolati L’Abruzzo nostro («Se tu potessi averlo dinanzi l’Abruzzo e abbracciarlo con uno sguardo solo, lo vedresti come un immenso anfiteatro aperto in faccia al mare, con i monti in fondo e per cupola il cielo. Se tu avessi le ali e potessi volare, e andare più su delle montagne, in mezzo al cielo, e guardartelo dall’alto e girarlo per lungo e per largo, dalla montagna al mare: che meraviglia! Come giganti stanchi, accovacciati, coricati per tutti i versi, stanno i nostri monti. E in mezzo, ritto, con la fronte al sole, il Gran Sasso, vigile e pensoso») e Il Re dell’Abruzzo («Chi di voi non ha visto il Gran Sasso? È tanto alto che da quasi ogni canto d’Abruzzo si scorge. E la sua figura e il suo aspetto variano, a seconda del luogo da cui lo guardi. Da levante rassomiglia ad un corno, e perciò fu detto Monte Corno; dalla riva del mare somiglia ad una donna coricata e la chiamano “Bella dormente”. Da mezzogiorno appare un gran masso sospeso nell’aria, donde il nome di Gran Sasso. Da nord a nord-ovest ha un aspetto ancora più singolare, poiché partecipa di tutte queste forme. Un uccello, si sa, fa presto a trovarsi lassù. Ha le ali! Vola, vola, in poco tempo ci arriva. Ma noi non le abbiamo le ali. E poi che credi, che la montagna sia proprio come la fai tu sulla carta: una trottola con la punta in su, bella liscia e dritta? Hai voglia! Quanti valloni e valloncelli e gole e colli e ruscelli e letti di torrenti prima di arrivare lassù. E sembrano cento e cento braccia del gigante che si stendono verso il piano e ti invitano a salire»). Indubbiamente la levità della prosa – sembrano i suoi degli acquerelli poetici – e il coinvolgimento dell’autore non solo nell’ambiente descritto ma anche nel sentimento con cui si rivolge al piccolo lettore, denunciano il talento letterario di Postiglione che, proprio in quegli ultimi anni, aveva abbozzato delle prove poetiche (alcune si ritrovano proprio in La terra d’Abruzzo e la sua gente, insieme ai versi di grandi abruzzesi come Cesare de Titta e Alfredo Luciani). Chissà che l’attuale Ministero dell’Istruzione non decida di recuperare questi almanacchi regionali (il governo stesso che li aveva promossi ne decretò la fine già nel 1929 per sostituirli col “libro unico”), così che i ragazzi tornino a scoprire la storia largamente intesa a partire da quella del loro territorio, dei loro luoghi, delle loro tradizioni, dei loro conterranei. Basterebbe conoscere l’esperienza umana di questo maestro di prima elementare per comprendere la storia politica d’Italia e d’America del primo Novecento, la filosofia di Emerson e di Tagore, la poesia di Byron e di Shelley. Sbloccare il lucchetto giusto permette di aprire una serie infinita di porte.