PASOLINI E L’ABRUZZO

Nel centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini

Andrea Giampietro – I rapporti di Pier Paolo Pasolini con l’Abruzzo iniziarono prima ancora ch’egli si trasferisse a Roma da Casarsa, paese di sua madre Marianna, dov’era tornato da Bologna durante il secondo conflitto mondiale. Nel febbraio 1945, prossimo a compiere i ventitré anni (era nato il 5 marzo del 1922), il giovane poeta aveva fondato, insieme ad altri cultori del dialetto friulano, l’ “Academiuta di lenga furlana”, per cui avrebbe curato una serie di “Quaderni romanzi”. Nel terzo numero (giugno 1947) comparve un articolo, dal titolo “Sguardo alla poesia dialettale”, in cui Pasolini accennava, tra gli altri, al poeta abruzzese Vittorio Clemente (Bugnara, 1895 – Roma, 1975).

Clemente, che dal ’39 viveva a Roma come Ispettore scolastico, cominciò ad avere popolarità con la pubblicazione dei sonetti di “Sclocchitte” (Milano, Editore Gastaldi, 1949) ma la vera consacrazione arrivò proprio grazie a Pasolini. Quest’ultimo aveva raggiunto Roma nel gennaio 1950, dopo “i fatti di Ramuscello”, e nella Capitale era riuscito, grazie all’aiuto del poeta abruzzese, a trovare lavoro come insegnante in una scuola media privata (cfr. P.P. Pasolini, “Profilo autobiografico”, in “Ritratti su misura di scrittori italiani”, a cura di Elio Filippo Accrocca, Venezia, Sodalizio del Libro, 1960). A Clemente dedicò un’acutissima prefazione per la sua nuova raccolta di versi, “Acqua de magge” (Mazara, Società Editrice Siciliana, 1952), e ne antologizzò l’opera in “Poesia dialettale del Novecento” (Guanda, 1952), curata insieme a Mario dell’Arco, architetto e poeta in dialetto romanesco (anche lui amico di Clemente). Pasolini riconobbe nell’opera clementiana una spiccata incidenza di Pascoli: per il poeta di San Mauro, trapiantato a Castelvecchio di Barga, la parlata lucchese aveva avuto modo di svilupparsi anche in lingua e questo penetrare la dimensione popolare, anche oltre l’evidenza linguistica, aveva influito sulle successive generazioni di poeti schiettamente dialettali. Più ancora che dai sonetti il prefatore era rimasto affascinato dal poemetto che dava il titolo alla raccolta, in cui riconosceva una “lingua (…) vibrante come una cassa armonica” e un “impulso sensuale (…) che viene a coincidere col tempo imperfetto in cui il breve poema è redatto e, quindi, con valori evocativi che su un altro piano, quello tonale, hanno anch’essi il naturale potere di livellare, di fondere i dati della realtà”.

L’opera clementiana divenne allora oggetto di attenzione da parte di critici e letterati come Giorgio Caproni, Franco Fortini e Giorgio Petrocchi. Ma fu il giovane poeta peligno Ottaviano Giannangeli ad accompagnare Clemente nella “seconda fase” della sua produzione poetica che, dopo la raccolta “Tiempe de sole e fiure” (Caltanissetta, Ed. Salvatore Sciascia), avrebbe visto il culmine nel poemetto “Canzune ad allegrie…” (Lanciano, Editrice Quadrivio, 1960), di cui Giannangeli curò la traduzione italiana (oltre ad assistere l’autore nella redazione definitiva dell’opera, come testimonia la loro fitta corrispondenza).

Intanto Pasolini, giunto ormai al successo col romanzo “Ragazzi di vita” (Garzanti, 1955), si interessò, come collaboratore del periodico “Il Punto”, di altri giovani poeti abruzzesi, come il lancianese Giuseppe Rosato e il teramano Giammario Sgattoni (i due, insieme a Giannangeli, tenevano le redini della rivista “Dimensioni” che dalla fine degli anni Cinquanta raccolse attorno a sé le forze culturali che avevano già intrapreso un cammino fuori dalla regione, come Mario Pomilio, Laudomia Bonanni, Ignazio Silone e Giovanni Titta Rosa, imponendo anche nuovi nomi della letteratura abruzzese, come Renato Minore, Luciano Russi e Clemente Di Leo). Proprio Sgattoni lo invitò per intervenire in occasione del II Premio “Teramo” per un racconto inedito (1960) da lui fondato l’anno precedente; l’incontro tuttavia non ebbe luogo. Pasolini riferì in questi termini, in un brillante reportage giornalistico, “Un giorno a Teramo” (“Il Giorno”, 8 gennaio 1961; poi in P.P. Pasolini, “Romanzi e racconti”, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, vol. I, Milano, Mondadori / I Meridiani, 1988), il motivo della sua assenza: “Ero stato invitato quest’estate in occasione del Premio “Teramo” a tenere una conversazione critica: e il dicitore Comello avrebbe letto delle mie poesie. All’ultimo momento, però, tutto è stato liquidato. I fascisti si sono opposti alla mia venuta, e l’hanno spuntata. Così adesso, il nuovo invito ha sapore di sfida, di rivincita». Il 21 novembre 1960, infatti, approdò in terra vibratiana su preghiera di Pasquale Limoncelli, instancabile operatore culturale e fondatore del Centro culturale “Antonio Gramsci”.  Ma prima del confronto con il pubblico per la presentazione del garzantiano “Passione e ideologia” (in cui ritroviamo la prefazione ad “Acqua de magge” col titolo “Un poeta in abruzzese”), Limoncelli insistette perché il suo ospite assaggiasse le prelibatezze locali, come le “scréppèlle ’mbusse” e i maccheroni alla chitarra. Successivamente, al Teatro Apollo, ebbe luogo l’incontro con gli intervenuti, tra cui Giammario Sgattoni. Dopo un inizio un po’ freddo l’ambiente divenne gradevole e dialetticamente stimolante, come ricordò lo stesso Pasolini: “… non c’è materia, come dice Leopardi, per quanto dolorosa che non possa essere dominata con un certo ‘barlume d’allegrezza’. Bisogna insomma, che, tutto a un tratto, mi venga da sorridere, di me, degli altri; che nella mia pupilla quasi illividita brilli una goccia d’ironia, che comincia a divertirmi e a appassionarmi: così comunico una mia profonda e indistinta lietezza agli ascoltatori, che a loro volta cominciano a divertirsi e a appassionarsi”. Le domande furono molte e, secondo il poeta bolognese, alquanto stereotipate, ma una si rivelò inattesa: “… a Teramo, un ragazzetto biondo, con una faccia furba da teddy-boy paesano, mi chiede a bruciapelo: che cos’è il marxismo? Devo rispondere a tutti: e del resto nessuna domanda è imbarazzante quando si è deciso di essere sinceri”. La vis polemica di Pasolini non venne meno neanche in quell’occasione, come ebbe a ricordare lo stesso Limoncelli in un’intervista al “Centro” (11 novembre 2018): “Quella sera, durante il dibattito, un ragazzo gli chiese che cosa pensasse di D’Annunzio e lui rispose: ‘Pessima persona, pessimo soldato, pessimo poeta’, e poi compì un gesto con la mano per andare oltre”. L’incontro tuttavia si concluse piacevolmente e, andando via, il poeta fece un bilancio di quel primo incontro con Teramo e la sua gioventù: “A Teramo si parla degli stessi problemi che a Roma: pur essendo Teramo una città conservatrice. La figura del ‘passatista’ è ormai del tutto irrilevante, in provincia: dato, del resto, che non esistono più le ‘avanguardie’ al centro. Brulicano invece giovanotti che, addirittura con distacco quasi freddo, sono tematicamente al livello della cultura più progressiva. Se la potenza è in mano ai vescovi e ai prefetti, il tono culturale è, quanto meno, nelle mani dei giovani democristiani di sinistra”. Avrebbe accettato nuovamente l’invito di Limoncelli, come quando nel ’64, ormai passato a lavorare dietro la macchina da presa, tornò a Teramo per presentare il film “Il vangelo secondo Matteo”.

Meno felice fu il rapporto di Pasolini con un grande abruzzese trapiantato a Roma, lo scrittore pescarese Ennio Flaiano. In occasione del film “Le notti di Cabiria” (1957), Federico Fellini convocò Pasolini come consulente per i dialoghi che in parte dovevano essere in romanesco, come quelli dei ragazzacci e delle prostitute di “Ragazzi di vita”, e Flaiano se ne risentì. Come testimoniato dal critico cinematografico Tullio Kezich: “Flaiano è un uomo di straordinario talento, ma caratteriale e permaloso. Veder apparire facce nuove nella cerchia felliniana l’ha sempre messo in allarme (…) Ma la figura più ostica per Flaiano è quella di Pasolini, di cui non capisce il valore e deplora il crescente successo” (“Federico Fellini, la vita e i film”, Milano, Feltrinelli, 2002, p. 352). In un’invettiva intitolata “Lapidi”, dedicata a importanti nomi della letteratura di quel tempo (compreso se stesso), Flaiano vi incluse il collega “profetizzandone” il tragico destino: “In questa prigione di stato / avida travagliata esistenza / e umana invidia condussero / Pier Paolo Pasolini / comunista e cattolico / e qui / al partito sottraendola / la sua bell’anima a Dio rendeva / morendo / in odore di pubblicità” (Lucilla Sergiacomo, “Invito alla lettura di Ennio Flaiano”, Milano, Mursia, 1996, p. 115).

Il 15 ottobre 1975 si spense a Roma Vittorio Clemente. L’amico Ottaviano Giannangeli, che cinque anni prima ne aveva curato l’opera omnia, “Canzune de tutte tiempe” (Lanciano, Editrice Itinerari), insistette perché, nel numero monografico della rivista lancianese “Itinerari” che si apprestava a dedicare al poeta di Bugnara, partecipasse anche Pasolini. Contattò Giorgio Caproni, con cui aveva cordiali rapporti di amicizia, per avere l’indirizzo del regista del “Decameron”; il 27 ottobre Caproni rispose indicandone il recapito, precisando tuttavia che Pasolini era quasi sempre in giro per lavoro. Sempre quel giorno Francesca Clemente, figlia del poeta, scrisse a Giannangeli: “Pasolini finora non si è fatto vivo ed io non posso telefonargli perché i telefoni della sua zona sono tutti bloccati per un sabotaggio avvenuto nei giorni scorsi. In tutti i modi, attendiamolo con pazienza. Noi andremo a Sulmona sabato 1° novembre, di pomeriggio, per ripartire domenica per Roma sempre di pomeriggio”. Quel pomeriggio del 1° novembre Giannangeli incontrò a Sulmona i figli di Clemente a cui ribadì l’importanza di un intervento del poeta bolognese. Quella stessa notte, purtroppo, Pasolini fu brutalmente ucciso. Così, sempre in una lettera di Francesca Clemente all’amico peligno, del successivo 13 novembre, si legge: “La morte di P.P. Pasolini mi ha costernata. Lo ricordo l’ultima volta che lo incontrammo alla presentazione del suo libro ‘Poesia in forma di rosa’ (di cui ho una copia con dedica a me): fu affettuosissimo con papà, la prima persona in sala che avvicinò e baciò. Si volevano molto bene”.

Sul numero di “Itinerari” apparve comunque, tra i vari interventi, la prefazione ad “Acqua de Magge”, a testimonianza della stima che Pier Paolo Pasolini aveva dimostrato per uno dei più grandi poeti d’Abruzzo.

Ilio Di Iorio, Ottaviano Giannangeli, Vittorio Clemente (Sulmona, 1968)

 

Pier Paolo Pasolini, Piero Tempesti, Giammario Sgattoni (Teramo, 1960)