LA DIETA CHETOGENICA PER COMBATTERE L’OBESITÀ

di Giulio Maria Ranalli (Nutrizionista). Negli ultimi decenni, la prevalenza mondiale di obesità e diabete di tipo 2 è aumentato drammaticamente, con la conseguente epidemia globale. Globalizzazione, crescita economica, stile di vita sempre più sedentario, abuso di farmaci hanno contribuito a questa tendenza. Recentemente, l’assunzione elevata di carboidrati è stata correlata con un maggiore rischio di mortalità totale, mentre i grassi totali – specifici tipi di grassi – sono stati associati a una mortalità totale INFERIORE, sfidando così la definizione di una “dieta sana” che prevederebbe una quota maggiore di carboidrati e una inferiore di lipidi. Nonostante i grandi sforzi delle comunità scientifiche e mediche, l’obesità, il diabete di tipo 2 e le malattie cardio-metaboliche (tra cui la sindrome metabolica) dovrebbero aumentare drasticamente nei prossimi anni.  Esistono diversi tipi di diete, low-carb, a zona, Atkins, chetogenica, mediterranea, reverse, carb-cycling e si potrebbe continuare ancora e ognuna di queste punta a ridurre il peso corporeo, la massa grassa e – importante – l’insulina circolante e la resistenza insulinica.  La dieta chetogenica, ad esempio, sta guadagnando sempre più terreno nella gestione dell’obesità e delle sue comorbidità anche in ambito clinico-ospedaliero. Le diete chetogeniche sono (generalmente) ad alto contenuto di grassi, normo proteiche, a bassissimo contenuto di carboidrati e sono state utilizzate principalmente per il trattamento dell’epilessia refrattaria (farmaco-resistente) nei bambini a partire dagli anni ’20. Negli anni ’70 la dieta chetogenica a basso contenuto di carboidrati e ad alto contenuto di grassi “Atkins” ha raggiunto la popolarità grazie alla capacità di far perdere peso.  Gli studi pionieristici del prof. George Blackburn hanno introdotto il concetto di “digiuno modificato risparmiatore di proteine” (PSMF), altamente restrittivo come regime dietetico poiché basato principalmente sulla quantità minima di proteine necessarie per preservare la massa magra che mirava al raggiungimento di una rapida perdita di peso, nonché a potenziali ulteriori benefici sia sulla pressione sanguigna che sulla glicemia e sui livelli lipidici. Nel bel paese patria della dieta mediterranea patrimonio UNESCO, un position paper del 2014 dell’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica (ADI), di cui faccio parte in qualità di consigliere della Regione Abruzzo, ha proposto la chetogenica VLCKD (Very-Low-Calorie-Ketogenic Diet) come opzione terapeutica per diversi trattamenti clinici, tra cui grave obesità, obesità associata a comorbidità, steatosi epatica non alcolica (NAFLD), epilessia resistente ai farmaci, nonché come strumento utile per la perdita di peso prima di un intervento di chirurgia bariatrica. Nel 2016, la VLCKD è anche stata menzionata, con indicazioni simili, tra gli standard di cura per l’obesità rilasciata dalla Società Italiana di Obesità (SIO) e dall’ADI stessa.