UN MONDO DI DIVERSI, UN MONDO UMANO
Alessandro Lavalle – La diversità: una tematica discussa spesso di questi tempi; una caratteristica naturale che accomuna tutte le specie viventi e tramite questa le suddette prosperano e si evolvono. La differenziazione interspecie è una conseguenza naturale della linea evolutiva, influenzata da caratteri esterni come l’ambiente e lo stile di vita, caratteri che, perpetrati nei millenni, donano ad ogni specie animale diverse sottocategorie. Esistono diverse differenziazioni interspecie, partendo dalle fenotipiche – le più evidenti, come sesso, pigmentazione e lineamenti – fino a quelle genotipiche, le più profonde, che donano caratteristiche specifiche e non evidenti. Ora, nel mondo animale queste differenze non hanno mai rappresentato un grosso problema, vengono automaticamente accettate come parte della vita, come filo conduttore del ciclo evolutivo naturale.
In natura la diversità è per certi versi un vantaggio e per altri uno svantaggio, tuttavia rimane il fatto che viene comunque accettata, anzi, viene sfruttata per garantire la continuità del processo evolutivo, come ampiamente dimostrato dai nostri progenitori primati che, per arrivare a noi, sono dovuti passare attraverso una marea di diversità evoluzionistiche; queste differenze, quindi, garantiscono che le specie animali continuino a prosperare in un mondo in continuo cambiamento
Tuttavia esiste una specie dove queste differenze, piccole e non, hanno da sempre causato una risposta violenta e confusionaria: si sta parlando naturalmente dell’uomo.
A causa della paura di ciò che va al di fuori della norma, che va al di fuori di quello a cui siamo abituati, abbiamo sviluppato una intrinseca paura del diverso, del differente e siamo caduti per decenni, per secoli, nella palese menzogna che esistesse una qualche forma di supremazia razziale, una miscredenza nata dalla paura che ha portato a inumana violenza ed incalcolabile morte; molto più comune fu la barbara credenza che la donna sia naturalmente inferiore all’uomo, più debole, meno intelligente: una credenza nata dall’insicurezza dei pochi ed estesa ai molti tramite una paura chirurgicamente instillata nei secoli.
Avendo toccato il fondo del barile nel passato, oggi, invece, grazie all’avvento della globalizzazione e digitalizzazione e quindi di un’era di diffusione dell’informazione, lo spettro dell’ignoranza e della paura ha mostrato il suo vero volto, abbandonando le menti delle persone illuminate ed aperte e relegandosi solo a quelle più retrograde e chiuse, che però costituiscono una gran massa: ci siamo incominciati a rendere conto che la diversità non era qualcosa di cui avere paura. Così è toccato alle nuove generazioni illuminate – nonostante siano all’inizio in minoranza – rimediare agli errori commessi dai loro antenati.
Tuttavia nel cercare di riequilibrare la bilancia si sta incominciando a cadere nell’eccesso opposto. Poiché infatti noi uomini, specie evoluta e “civile”, continuiamo a fare fatica ad accettare la diversità in maniera naturale e semplice, tentiamo di fare l’opposto di ciò che abbiamo fatto nel passato: vogliamo, in buona fede, integrare attraverso l’uguaglianza lineare quello che non può essere integrato a questo modo; ciò significa amare la diversità senza capirla e solo perché “è l’opposto di quello che hanno fatto i nostri antenati” e, dunque, innalzata a soluzione assolutamente giusta; ma la questione è più profonda di “cercare di fare l’opposto”.
Esistono a questo mondo una serie di privilegi genetici e non che fanno parte del patrimonio evoluzionistico delle diverse etnie che compongono la nostra specie, delle differenze assolutamente naturali e giuste che però a quanto pare si preferisce non menzionare, anzi si preferisce fare finta che non esistano affatto, cadendo quindi nella convinzione che esista una pura uguaglianza genetica tra noi uomini; queste differenze determinano una sostanziale eterogeneità in forza, destrezza, altezza, metabolismo, velocità, lineamenti; ma non – come teorizzavano i nostri predecessori – nelle capacità mentali o culturali e, quindi, nella “persona”: le dimensioni del cervello possono sì variare, ma ciò non influisce affatto sulla “potenza” cognitiva che il cervello ha da offrire; basti vedere quante specie animali hanno un cervello più grande del nostro e non sono capaci di compiere meraviglie di scienza e arte come noi; ciò che veramente conta è la densità neuronale del cervello, che in un cervello adulto è pari a circa cento miliardi di neuroni: una cifra che non varia né con il sesso né con l’etnia, ma solo con l’età. Queste differenze genetiche sono la testimonianza del fatto che anche noi esseri umani facciamo parte della catena evoluzionistica naturale, una testimonianza importante che ci lega ancora, nonostante tutto, a Madre Natura.
Esistono poi, altro argomento delicato, le differenze di sesso e sessualità che a mio parere ancora una volta vengono forzatamente indicate come parte della “normalità lineare” invece di essere viste per quelle che sono: naturali differenze in una “normalità naturalmente differenziata”, cioè l’unica normalità secondo natura. Se c’è una cosa che ho imparato studiando è che nel mondo non esiste la così tanto idolatrata “normalità”: il concetto di normale, di norma, di continuità, è la più grande menzogna che l’uomo abbia mai fabbricato in nome della stabilità, un concetto necessario alla psiche umana quanto l’esistenza della vita dopo la morte; menzogna che, appunto, ha generato la paura del diverso.
Quello che cerco di far passare è un concetto assai difficile da rendere a parole, nonostante sia parte della mia bussola morale e nonostante io lo abbia in mente chiaro e limpido: la diversità non va accettata cercando disperatamente di farla entrare nel quadro della “normalità” lineare, la diversità va accettata, invece, in quanto esiste come tale, in quanto “normalità” naturale. E’ così bello che esista la diversità, che esistano queste differenze che colorano il mondo, che lo rendono unico in ogni suo aspetto; io non sono e non sarò mai uguale ad una qualsiasi altra persona e va bene così, è giusto che sia così, ma nulla mi vieta di vederla come mio pari in tutto e per tutto nonostante qualsiasi spiccata differenza, nulla mi vieta di vederla come un altro essere umano.
Quello che è assai meno bello e giusto, è che un’altra persona non abbia mai avuto, e mai avrà per come le cose stanno andando nel mondo, le mie stesse opportunità; la lotta per la giustizia globale non va affrontata in termini di mera uguaglianza, bensì di equità: il mondo non ha bisogno che gli esseri umani siano tutti uguali, ma che siano trattati tutti in ugual maniera e che abbiano tutti le stesse opportunità di partenza, che abbiano tutti una chance di dimostrare il proprio valore e non vengano, quindi, pregiudicati ancor prima di nascere a causa delle loro origini, della loro cultura o del loro sesso od orientamento sessuale. Le donne ad esempio: è giusto ed è bello che siano diverse dagli uomini; meno giusto è che una donna non possa avere le stesse opportunità di un uomo in quanto donna, che non possa avere la possibilità di dimostrare che vale quanto un uomo, se non anche di più; il fatto stesso che debba “dimostrarlo” è un’idiosincrasia sistemica.
Un mondo equo fatto di scelte e non di pregiudizi, un mondo in cui la lotta per la parità viene risolta per pari opportunità e non per forzata accettazione; accettare gli altri nelle loro diversità in quanto tali, amarli come a me pari, non come a me identici; lottare con tutte le mie forze perché abbiano le mie stesse opportunità: questo è il messaggio che cerco di comunicare, un messaggio che forse, un giorno, riecheggerà nei cuori di ognuno; allora saprò che questo mondo è davvero cambiato per il meglio, allora saprò che questo mondo è veramente giusto e civile, allora saprò che sto vivendo in un mondo davvero umano.un