L’OSSIMORO DELLA SOLITUDINE
Alessandro Lavalle – A volte capita di sentirci abbandonati a noi stessi: un sentimento piuttosto comune oggigiorno che, ahimè, caratterizza in maniera marcata la mia generazione; inoltre, assieme a questa sensazione di smarrimento, ci accompagna nel nostro viaggio anche un poderoso senso di inadeguatezza generale. La conformazione diviene di conseguenza una pratica tanto apprezzata quanto ripudiata e genera quindi delle reazioni controverse; nasce dunque la domanda: per essere apprezzati, per non sentirsi più smarriti, è meglio accettare se stessi oppure entrare a far parte del gruppo? Entrambe le vie parrebbero avere quella mancante accettazione e affetto che tanto aneliamo, eppure non sempre sono percorribili con facilità. Sono entrambe decisioni ardue con cui convivere, almeno all’inizio, e si dimostrano non prive di alcuni sacrifici; accettare se stessi, infatti, comporta anche lo scendere a patti con il fatto che non si potrà avere attorno a sé un gran numero di amici: il vero volto del singolo è un aspetto non sempre apprezzato dalla società dunque si rimane con una piccola cerchia ristretta di individui a cui piace che siamo noi stessi; questo metodo è di gran lunga il più arduo da attuare a breve termine essendo una strada che ci priva, ribadisco solo a volte, dell’ampio e basilare contatto umano. La seconda opzione è quella più gettonata: nascondere – anche solo per un breve periodo – il nostro vero volto per ricevere una più ampia accettazione; estendendo quindi la nostra cerchia di amici rinunciamo, però, al senso di libertà che deriva dall’essere veramente se stessi. Entrambe le opzioni, mi duole dirlo, non sono (a parte in rari casi) sostenibili a lungo termine: per raggiungere il comune obbiettivo necessitano l’una dell’altra; infatti il mezzo per raggiungere l’equilibrio, per colmare quel vuoto, non va mai cercato negli altri, ma in noi stessi. Si deve cominciare quindi da una profonda introspezione, per cercare di fissare i nostri obiettivi e mettere a fuoco le nostre volontà, per capire da dove proviene questa sensazione di abbandono; solo successivamente a questa auto-analisi si può iniziare a cercare l’aiuto nel prossimo, poiché se si procedesse all’inverso si rischierebbe di creare un circolo vizioso alla ricerca di qualcosa che neanche si sa se si vuole davvero. Per concludere noi abbiamo bisogno dell’affetto del prossimo, lo cerchiamo e lo desideriamo (è naturale), tuttavia ciò non toglie che possiamo sentirci da soli anche se in compagnia, da qui l’ossimoro. Per sradicare, o anche solo per cominciare a rimuovere, quella sensazione di vuoto, bisogna innanzitutto imparare a stare in compagnia di se stessi, imparare che stare da soli non sempre ci fa sentire davvero soli.