CONTATTI SENZA CONTATTO
di Alessandro Lavalle
Alla base delle relazioni umane mi pare di intravedere un filo conduttore che ci lega dall’alba dei tempi e che ci legherà anche quando l’ultima stella smetterà di brillare: l’emotività. Noi esseri umani siamo sempre stati, in fondo, delle creature essenzialmente emotive; creature a cui piace dire che la logica è la radice di ogni decisione nonostante sia una manifesta bugia. Va però dato un grandissimo merito alla logica, un merito che a volte le persone dimenticano: tiene a bada, anche se con molta fatica, le nostre emozioni. Il contatto umano soddisfa le nostre emozioni; esso non sempre è facile o veloce e questa intrinseca lentezza rende possibile un complesso sviluppo delle emozioni che mano a mano si mischiano con la logica e si trasformano in idee, opinioni, considerazioni e, a volte, pregiudizi; non esiste, purtroppo, una segreta formula matematica che permette di capire i comportamenti umani, ma il fatto che tutti ci basiamo sulle stesse emozioni permette, in linea di massima, di capire e carpire con la logica i comportamenti delle persone e di trovare stesse reazioni in diverse situazioni. Non è magia, né una caratteristica di persone dotate di poteri sovraumani, ma il prodotto di una variabile di vitale importanza nei rapporti umani: il tempo. Dedicarsi ad una persona rende possibile capirla, capire come pensa, cosa prova e, nel tempo, rende possibile “prevedere” alcuni comportamenti; nella costruzione di un rapporto sociale bisogna sempre tenere a mente il peso delle conseguenze: è il terzo principio della “dinamica sociale”, che gioca un ruolo di supporto nella comprensione dell’altro; come in un esperimento osserviamo le diverse reazioni a diversi stimoli e così apprendiamo ad evitare quelli che causano dissenso o, se il nostro interesse è quello di ferire, li perpetuiamo affinando così la nostra arma verbale, rendendola tagliente e penetrante. Il male non è qualcosa di intrinseco alle relazioni, poiché in linea di massima siamo cattivi con chi lo è stato con noi e viceversa; bisogna ammettere, però, che più ci diciamo giustificati ad esserlo più proviamo gratificazione nell’esserlo. Questo costante bilanciamento genera, con l’uso della logica, un “freno inibitore”: una sorta di tara che ci fa veramente sentire il peso delle nostre parole, la mordacia del nostro tono e le relative conseguenze; un “grillo parlante”, una “coscienza sociale” che ci permette di comportarci appropriatamente a seconda della persona che abbiamo davanti. Questo apparente dogma dell’oratoria crolla non appena manca il pilastro su cui esso poggia: l’interazione protratta nel tempo. Col passare degli anni la voce di questa coscienza si è andata via via affievolendo e, con la rimozione o alterazione dei fattori vitali della socialità, si è andato a creare un fortissimo squilibrio perché, in ultima analisi, non abbiamo più tempo per dedicarci alle persone. Nel nuovo millennio si richiede sempre di più una socialità superficiale e veloce senza contatti o seconde impressioni, una dinamica figlia dell’uso ignorante che si è fatto di questi dispositivi di socializzazione, una dinamica che è plasmata dal tempo in cui è nata e che plasma a sua volta il suo tempo; mancando quindi il contatto o – più precisamente – il tempo, ci viene tolta la possibilità di osservare, di carpire e di capire il nostro interlocutore; ogni segnale che precedentemente forniva indizi sul comportamento da seguire per raggiungere il nostro scopo con quella persona ora diventa quasi un terno al lotto, una materia di chiaroveggenza in conversazioni ridotte ad arido testo senza vita. Questo “Velo di Maya” dei nativi digitali imbriglia una esplicita segretezza che inconsciamente ci coccola in una falsa sicurezza di inattaccabilità, uno scudo da tutte le possibili conseguenze che va a sostituire quella tara innata che ci permetteva di avere conversazioni più umane. Nel sicuro rifugio delle nostre stanze, dietro i nostri schermi e tastiere, le sporadiche interazioni diventano sempre più criptiche e tendenti ad estremi opposti: si da tutto per scontato o si va a cercare cavilli inesistenti tutto a causa di quella mancanza di contatto; non avendo occhi, mani, labbra o voce come indicatori del dissenso o accondiscendenza di una persona si va a tentoni, basandosi su prove per lo più falsate o incomplete. Questa mancata comprensione dell’altro ci fa dire, fare o pensare cose che mai avremmo potuto se quella “coscienza sociale” fosse ancora presente; per questo motivo quando si naviga in rete si constaterà una generale tendenza all’amarezza, al poco rispetto e a sottili forme di invidia. Una celata aria di malore infesta i social, pieni di conversazioni divenute troppo tediose per suscitare in noi interesse e troppo scomode quando, ormai, lo hanno suscitato; per ironia della sorte nell’epoca della globalizzazione vogliamo essere lasciati in pace mentre veniamo alimentati da pregiudizi e vuote considerazioni, alimentati dall’invidia e dalla sciatteria nei confronti del prossimo. Oggi come oggi non si perde tempo se si dedica del tempo ad altri, tempo che dedichiamo indirettamente a noi stessi, al nostro sviluppo come persona e alla definizione del nostro carattere senza mai dimenticare che l’uomo non è fatto per stare da solo.