IL DIARIO DI SOLIMO: 6 OTTOBRE 1893, IL PUDORE DELLE ORIGINI

Nato il 15 giugno 1833 a Pratola Peligna, da famiglia di umili condizioni, Antonio de Nino sentì sempre dentro di sé un lacerante senso di frustrazione, dovuto in larga misura alla sua adolescenza irregolare e difficilissima, per condizione economica e per collocazione sociale. Lasciata la scuola a dieci anni, studia da tenace autodidatta e nel 1863 è all’Aquila dove, angustiato da gravi problemi di sopravvivenza, è costretto ad accettare il tirocinio di maestro elementare in quel di S. Demetrio ne’Vestini, a pochi chilometri dal capoluogo. «Non è un caso» scrive Giuseppe Papponetti sulla Gazzetta Peligna di febbraio 1987 «che lo scritto più impegnativo di quest’anno s’intitoli Il servaggio di Pratola: vi ripercorre le tappe fondamentali della storia del suo paese, un rosario di vessanti spoliazioni nel feudo esposto di continuo alle violenze di potenti monaci; e conclude con l’abituale empito patriottico: la mia cara Pratola non sarebbe ancora riscattata, se la provvidenza non avesse fatto sopprimere i monasteri dei Celestini; fra cui era la Badia. Io ricordo queste cose ad ammaestramento dei popoli. Maestro a Leonessa, professore a Rieti, stabilisce importanti contatti con l’élite degli intellettuali fiorentini; e sul “Borghini” di Pietro Fanfani (…) si ricorda di nuovo di Pratola; l’analisi del dialetto materno scandisce ritmi interiori di nostalgia, esita abbandono consolatorio d’emigrato che briga per tornare: “Sarebbe da fare un lavoro arcibello con questi dialetti. Io come io, non avendo né tempo né forza, mi restringerò al vernacolo della mia dilettissima Pratola, in cui ebbi i natali». Poi, altri incarichi e altri traslochi prima del trasferimento a Sulmona: è il 1872; una capatina veloce a Pratola, alle ore ventidue dell’8 settembre, per sposare la compaesana Maria Mosca. A Sulmona, De Nino si realizza come studioso e scrittore, instancabile promotore culturale ed encomiabile educatore. Pian piano il ricordo di Pratola si stempera in approcci occasionali e nel pudore delle stentate origini che riaffiorano occasionalmente nel suo capolavoro –
Usi e costumi abruzzesi – o in qualche battuta scherzosa con l’amico Gabriele d’Annunzio, ad esempio la lettera spedita nel 1893 al Vate in cui salutava firmandosi il tuo Antonio del paese delle** [ranocchie). La terra natia è lì vicino, ad un passo, ma è sempre più lontana: così, il Commendator Antonio de Nino, professore di Lettere Italiane, Storia e geografia, muore a Sulmona nella casa di via Sangro n. 5 (la strada che più tardi sarà intitolata al suo nome), il 1° marzo 1907, alle ore 21, in età di anni settantaquattro.