DIARIO DI SOLIMO: 16 AGOSTO 1903, LA FABBRICA DEI SOLDI FALSI

Da diversi mesi si parlava di una zecca clandestina nel Reclusorio della Badia, ma né gli agenti di custodia, né il direttore avevano dato peso alle clamorose rivelazioni del settimanale Il Germe; anzi, in tanti si erano affrettati a soffocare la notizia, anche gli stessi magistrati che pure avrebbero dovuto aprire un’inchiesta per accertare l’attendibilità di quelle voci e per escludere eventuali complicità da parte del personale di custodia; soprattutto perché – si diceva – le monete false da 2 lire erano riuscite ad “evadere” dal carcere, sicuramente non per l’abilità dei detenuti, sottoposti ad accurate perquisizioni prima di uscire dall’istituto di pena. A distanza di tempo, però, le voci cominciarono a prendere sempre più corpo, fino a diventare un’autentica “bomba” dopo la denuncia che un detenuto, appena posto in libertà, rilasciò al Procuratore del Re. Invero, il direttore del carcere fece di tutto per impedire al magistrato di perquisire il carcere, ma fu inchiodato alle sue responsabilità quando un paio di dozzine di pezzi da due lire furono trovate nel laboratorio di tal Franco Giuseppe, detenuto. La successiva inchiesta, condotta per mesi con acume e perspicacia da parte dell’Istruttore, portò in giudizio tre detenuti e alcuni agenti di custodia. Nel processo celebrato il 17 agosto 1903 in Corte d’Assise, ad Aquila, la difesa dimostrò che le monete erano state contraffatte in modo palesemente artigianale e che i detenuti se ne erano serviti per ottenere alimenti e piccoli servigi all’interno del carcere. L’avvocato Carlo Faraglia, difensore degli imputati, sostenne che non era possibile ravvisare il reato di fabbricazione di monete false, dato che le monete somigliavano a fondi di scatole di latta, ma il tribunale – si legge sul settimanale
la Democrazia del 23 agosto 1903 – non fu di questo parere e condannò ciascun imputato a due anni e quattro mesi di reclusione, 100 lire di multa ed
un anno di sorveglianza.