PADRE EGIDIO, IL RICORDO DI GUERINO PAOLINI

Nel 1977 Padre Egidio Ricci, di Ateleta, allora quarantenne, fu assegnato alla parrocchia di San Francesco di Paola a Sulmona. Aveva svolto la sua prima esperienza sacerdotale in una chiesa del quartiere romano periferico della Magliana, dando subito prova di grande capacità di comunicazione, a tal punto da indurre numerosi giovani a partecipare attivamente alla vita religiosa della parrocchia. Fu ben chiaro sin dall’inizio che le sue intenzioni mirassero a riprodurre il modello romano a Sulmona e cominciò a raccogliere intorno a sé alcuni ragazzi del quartiere con l’idea di creare un oratorio. In quel periodo erano tanti i ragazzi nati negli anni ’60, a seguito del boom demografico coinciso con un momento di particolare benessere del Paese. La tradizione oratoriale aveva avuto linfa particolare nella nostra città già nel dopoguerra, ma alla fine degli anni settanta, ad eccezione dei “tombisti”, non esistevano più punti di riferimento di ispirazione cattolica. In questo terreno favorevole, complice il fatto che l’area urbana corrispondente alla parrocchia di S. Francesco fosse nel momento di massima espansione demografica, l’idea di Padre Egidio attecchì nel migliore dei modi. In poco più di un anno il nuovo oratorio, composto inizialmente da due stanze, fu in grado di ospitare un centinaio di ragazzi che da allora ne fecero un luogo di riferimento in cui crescere e condividere le gioie e le ansie tipiche dell’età adolescenziale. La grande serenità di Padre Egidio, il suo entusiasmo che lo portava a essere spesso ragazzo tra i ragazzi, l’aspetto un po’ ascetico con la lunga barba in contrasto con lo sguardo vispo e sorridente che lo contraddistingueva, la grande forza d’animo, insospettabile se confrontata al corpo minuto consentirono all’oratorio di ampliarsi ulteriormente negli anni successivi e sempre più furono le persone coinvolte, anche adulte e provenienti da altre zone della città. Padre Egidio dimostrava di essere un sacerdote attivo, lontano dalle regole e dagli stereotipi, spesso astratti, del catechismo cattolico di allora. Espletava il suo senso religioso in maniera cristiana, ogni giorno, nella grande capacità di organizzazione, nell’impegno che profondeva sempre in tutte le cose che svolgeva e nella naturale predisposizione d’animo con cui accoglieva chiunque si presentasse in parrocchia, senza alcuna diffidenza o preoccupazione. Mai didascalico, non pretendeva granché dai suoi ragazzi, il suo insegnamento avveniva sul campo ed era privo di orpelli e retorica. Cercava di trasmettere il suo amore per la preghiera, senza obblighi e regole, senza rappresaglie nei confronti di chi si dimostrasse poco incline al raccoglimento e al pentimento. E in questo modo riusciva a essere più convincente e capace di ottenere di più da tutti i ragazzi. 

I due locali tra loro collegati erano il pensatoio e il chiassatoio. Il pensatoio nasceva come luogo di riflessione e di silenzio. Era dotato dei classici giochi di società di allora. La vicinanza con il chiassatoio non permetteva la necessaria concentrazione. In seguito, dopo un periodo di appannamento, la stanza ospitò le prove del coro e anni dopo divenne la sede del biliardo, un vecchio biliardo ancora in condizioni accettabili che Padre Egidio acquistò per soddisfare la richiesta di molti. Viceversa il chiassatoio era la valvola di sfogo e ospitava attività che richiedevano movimento e partecipazione emotiva. Era la sala del ping-pong che, nel corso degli anni, manterrà intatta la sua popolarità. Un po’ discosto dal tavolo di ping-pong si trovava il tradizionale biliardino e anche un vecchio flipper, preso in affitto, faceva parte dell’arredamento della stanza. 

Lo spazio a disposizione si dimostrò ben presto insufficiente a soddisfare il continuo affluire di ragazzi. A piano terra, una delle stanze del convento, confinante con il chiassatoio, non era utilizzata da tempo. Padre Egidio decise di aprire una porta in grado di collegare i due locali ed è così che nacque quello che verrà a costituire il nucleo fondamentale dell’oratorio, l’area principale in grado di accogliere in sé diverse attività contemporaneamente. A una prima vista la stanza non era nelle condizioni migliori e per di più era poco illuminata, nonostante avesse una parete che dava sull’esterno: pertanto si decise di chiamarla caverna e si organizzarono i lavori di recupero per renderla più confortevole e funzionale.  Più ampia rispetto al pensatoio e al chiassatoio, la caverna divenne una vera e propria tana, un ritrovo più familiare in grado di creare un maggior senso di appartenenza. 

Sulla parete alla sinistra dell’entrata vennero sistemati i videogiochi del momento, presi in affitto. Alcune colonne portanti creavano un naturale distacco tra le parti della stanza. Nella zona centrale vennero collocati tavoli e sedie di legno. Diventò il luogo preferito di chi desiderava giocare alle carte, primo fra tutti Padre Egidio, grande esperto di “pinnacolo”. Alla destra dell’entrata, sulla parete in collegamento con il chiassatoio, vi era il televisore, collocato a una certa altezza per permettere la giusta visione a più file di persone.

Successivamente, nella parete in fondo a destra, nello spazio inizialmente destinato alla voliera, venne predisposto un piccolo bar e a fianco, protetta da un vetro, la consolle con lo stereo e il mixer. 

Dopo diciotto anni di permanenza nella parrocchia di S. Francesco di Paola, non più giovanissimo, Padre Egidio ebbe la tempra e l’entusiasmo necessari per ripartire da zero nella città di Lanciano, dove in poco tempo riuscì a ricreare lo stesso clima di entusiasmo tra i ragazzi della chiesa di SS. Pietro e Paolo.

Ormai quei ragazzi sulmonesi hanno un’età compresa tra i quaranta e i sessanta anni e ognuno di loro ha preso la propria strada: c’è chi è riuscito a farsi spazio nel difficile mondo dello spettacolo, chi porta avanti con dignità il lavoro e la famiglia e chi è stato meno fortunato per le vicissitudini e gli ostacoli che la vita ci riserva. Una cosa è certa: tutti sono concordi nell’affermare che l’oratorio di San Francesco fu un polo aggregante e l’attività che si svolse al suo interno una maestra di vita. 

Forse la vera “leggenda” dell’esistenza sta nell’infanzia e nell’adolescenza di ogni uomo, ma alcuni momenti vissuti da noi protagonisti di quell’epoca hanno contribuito in maniera determinante a rendere queste fasi della nostra vita un po’ più “leggendarie” rispetto alla norma.