PARLA LA MOGLIE DEL MEDICO IANNUCCI: MIO MARITO UCCISO DAL VIRUS E DALLA BUROCRAZIA

Ha sofferto in silenzio per la morte del marito, il primo medico della zona di Firenze ucciso dal coronavirus. Ora parla, denunciando sulle pagine di Repubblica tutte le carenze della sanità toscana, e di covid-19, il killer invisibile che le ha portato via il marito  e che ha colpito anche lei. È Lucia Barbieri, la moglie di Giandomenico Iannucci, il medico originario di Sulmona morto il 2 aprile scorso dopo aver contratto il virus per salvare gli altri infetti, che racconta il suo dolore.“Mio marito ha accusato i primi sintomi  a  febbraio, forse si è contagiato quasi subito”, inizia a raccontare la donna, “è stato mandato allo sbaraglio senza i presidi di protezione necessari, pur portando lui la mascherina chirurgica, ma come è ormai noto a tutti non protegge chi la indossa”. “Il decreto di epidemia è del 31 gennaio ora so che andava subito detto di non fare visite a domicilio. I medici  andavano dotati subito di presidi protettivi, mascherine, camici, occhiali, ma questi sono arrivati molto dopo. All’inizio di marzo mio marito ha contattato il collega dell’ufficio di igiene al quale ha descritto i sintomi – prosegue la signora Iannucci – il collega ha detto che se non era stato in contatto con ‘positivi’ era superfluo il tampone, con questa decisione si sono persi giorni che avrebbero potuto fare la differenza. Il 16 è peggiorato, è stato ricoverato, il 17 mi ha mandato un messaggio: fatto tampone è Covid. E’ andato in terapia intensiva ed è morto il 2 aprile. Io sono stata contagiata? Il 18 marzo avevo chiamato l’ufficio di igiene per avere il tampone, dialogo kafkiano: ‘Dica al suo medico che faccia la richiesta. ‘Il mio medico è ricoverato’. ‘Eh sì questo è un bel problema’. Un collega di mio marito me lo ha fatto fare, dopo 4 giorni, il 23 marzo la comunicazione arriva alla mail di mio marito, ma io che ero positiva l’ho saputo solo il 30 dopo aver chiamato di nuovo l’Ufficio di igiene”. “Meno male che i colleghi di mio marito mi avevano comunque avviato la cura – incalza la donna – Io penso che dovessero cercarmi anche con i carabinieri per avvertirmi, no? Dopo ripetute richieste il 10 aprile sono venuti a fare il tampone di controllo, ma il risultato dove andrà? Al medico di base, mio marito, che è morto, o forse alla sostituta, che però non l’ha ricevuta. Non basta”.  La Barbieri conclude spiegando che “casa mia andrà sanificata, ma a spese mie. E la Asl di Scarperia, proprietaria dello studio di mio marito, so che mi chiederà l’affitto, mentre la Misericordia di San Piero a Sieve, secondo studio, mi ha già mandato la fattura. Il sindaco di Sesto Fiorentino, dove abito, mi ha detto che cercherà una soluzione”. “Io mi chiedo – conclude la donna – ma quello di mio marito non è un infortunio sul lavoro? La verità è che si muore di Coronavirus e di burocrazia”. Una chiara denuncia di come la sanità già di per sé alle prese con la cronica assenza di finanziamenti, debba fare i conti con la burocrazia che sta uccidendo il nostro Paese facendo ogni giorno molto più morti del Coronavirus.