SI E’ SPENTO LINO CLEMENTE, FIGLIO DEL GRANDE POETA DI BUGNARA
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO: Ieri si è spento a Roma, all’età di ottantacinque anni, Pasquale Clemente, figlio del poeta bugnarese Vittorio Clemente. Quando lo scorso anno lo contattai per prospettargli la pubblicazione della corrispondenza tra suo padre ed il professor Ottaviano Giannangeli, fu subito entusiasta del progetto. La mia eccessiva deferenza, quando per l’ennesima volta lo chiamai “Dott. Clemente”, venne dolcemente redarguita: «Dammi del “tu”, ormai siamo come fratelli…». Laureatosi in Medicina generale, esercitò la professione medica nella Capitale, dove suo padre si era trasferito alla fine degli anni Trenta per lavorare come ispettore scolastico. Fu medico, certo, ma con una spiccata sensibilità umanistica, che aveva maturato nell’ambiente familiare sotto l’egida del cantore peligno. Oltre a dilettarsi nella scrittura in versi e nella composizione musicale (studiò pianoforte con un’allieva di Listz), Lino – l’affetto m’impone di chiamarlo così – s’interessò alla poesia del Belli, proprio come il padre che, sull’opera del poeta romanesco, aveva scritto diversi saggi critici. Insieme a Francesca, l’adorata sorella, fu il custode del nume poetico di Vittorio Clemente, il quale, in una lettera del 1969, confidava a Giannangeli (con cui stava lavorando alla sua opera omnia, “Canzune de tutte tiempe”): «… mi consiglierà il giudizio di Francesca e Lino, i quali vivendo nella temperie delle mie più recenti cose sono diventati i miei critici più severi».Due calamità lo colpirono duramente in anni recenti: la prematura scomparsa della moglie Anna ed un attacco ischemico che lo costrinse ad una difficile riabilitazione. Lino lavorò duramente per riprendere possesso delle sue facoltà, arrivando addirittura a scrivere un libretto di memorie, “La mia piccola guerra. Scrittura come terapia” (Roma, Ed. Tipografia Cardoni, 2002), a testimonianza della sua inesausta lotta di rinascita. Lo scorso 15 ottobre lo incontrai personalmente a Sulmona, in occasione del Premio scolastico “Vittorio Clemente: Terra e Cuore”, dove si ritrovò coi vecchi amici Prof. Cosimo Savastano ed Elisabetta Caccavella, moglie del professore Giannangeli. Fu una splendida occasione di condivisone umana e poetica, soprattutto quando lessi al pubblico dei versi scherzosi che lui aveva scritto nel 1963 al poeta raianese: «Leggendo la missiva che t’invia/ l’austero genitor, a te plaudente,/ anch’io voglio aggiungere la mia/ giacché l’ispirazion me lo consente.// Vicini son gli esami, ma non tace/ la Musa mia, anzi è rifiorita/ come augellin vicino ad una face,/ dalla tua poesia ringalluzzita». Lo sentii per l’ultima volta nel gennaio scorso, quando mi telefonò per ringraziarmi di una ritrovata poesia giannangeliana, che per le festività natalizie era stata inviata agli amici più cari. La chiacchierata fu godibile e commossa, in pieno stile “clementiano”. Mi canticchiò addirittura il motivo di un brano di “Canzune ad allegrie…”, quel bellissimo poemetto paterno che fu messo in scena nel 1983 da Giannangeli, su musiche di Benedetto Bianchi. Un vero godimento. A Michele e Paola Tataseo, i nipoti più vicini a Lino, e a tutta la famiglia, va non solo il mio cordoglio ma quello dell’intera comunità, in cui c’è chi si ostina a non slegarsi da un passato foriero di bellezza, che sopravvive nella tradizione di canti e di poesia. Andrea Giampietro.