“TORNA SUL MORRONE CELESTINO!”

Celestino V, il papa dimissionario morto il 19 maggio 1296, imprigionato in una minuscola cella del Castello di Fumone, è il simbolo più eloquente della libertà del cristiano. Ma ancora oggi, la salma resta imprigionata in un’urna d’oro. Celestino non immaginava minimamente che le sue spoglie mortali sarebbero state rivestite dei paramenti pontificali per essere esposte alla venerazione dei fedeli. Più verosimilmente avrebbe preferito indossare, da morto, il saio della povertà e rimanere nella grotta del Morrone, col suo stile di vita umile e modesto. 

Pier da Morrone-Celestino V è un santo-papa che ha lasciato un’orma indelebile nella storia, tanto che solo recentemente, con l’esempio di Benedetto XVI – dimissionario come lui, è assurto a modello di vita evangelica.
La sua è stata una continua “conversione” (metànoia). Ne è testimonianza la stessa proclamazione della Perdonanza, che non è un normale anno giubilare, come quello proposto nel 1300 dal successore, Bonifacio VIII. E’ una frattura. Un diaframma, che infrange il ritmo del tempo, la routine della vita. Con il rito della Perdonanza, Celestino intendeva proporre alla Cristianità Universale lo stile di vita evangelica: la conversione interiore. Era la realizzazione dell’Amore per Dio e per gli uomini, che fra Pietro aveva imparato e vissuto durante la sua permanenza sul Morrone, a contatto con la natura, con la gente semplice e povera della zona.
Ma se si analizza la fine penosa, cui è andata incontro la “Perdonanza”, c’è da rimanere esterrefatti. Cosa ha a che fare l’idea profondamente spirituale di Celestino con la kermesse dell’estate aquilana? La Perdonanza è diventata lo scempio di Celestino. Il tradimento più spettacolare dei profondi valori evangelici. La spettacolarizzazione teatrale, piuttosto che essere una pedagogica sacra rappresentazione, ne distorce e ne annulla il messaggio più profondo. Le forme plateali stimolano interesse e partecipazione popolare, ma riducono Celestino a personaggio da pantomima. E la corsa sfrenata alla processione di figuranti è segno di banalizzazione della vita e del messaggio celestiniano. La proposta dell’anno giubilare nel segno del perdono lanciata da papa Francesco vuole essere di stimolo a tornare alle fonti del messaggio cristiano.

Storicamente, solo un papa alla ricerca dell’Assoluto, lacerato interiormente, ha cercato di cogliere il messaggio di Celestino. È stato Paolo VI, unico papa nella storia, che il 1 settembre 1966, si recò al castello di Fumone come segno d’una lezione da apprendere e d’un cammino da riscoprire: la via di Celestino. Su questa via, il Papa intendeva incamminarsi nell’ultimo periodo della sua vita. Un desiderio, timidamente espresso (se ne parlò allora, anche sulla stampa), ma non realizzato: ritirarsi in preghiera sulla montagna del Morrone, a Sulmona, per prepararsi al passaggio nell’aldilà.

Celestino non è imprigionabile nelle stanze del potere. La linea di demarcazione, come aveva ben intuito Silone ne “L’avventura d’un povero cristiano”, è ancora oggi quella di sette secoli fa: o con Celestino o con Bonifacio. È la dialettica tra lo Spirito e la Lettera, tra la Profezia e l’Istituzione. Metaforicamente, tra la tiara, il copricapo che con Bonifacio VIII diventerà “triregno” simbolo del potere temporale e la chierica (tonsura), simbolo della consacrazione a Dio. Fortunatamente, la tiara è stata eliminata e venduta da Paolo VI per ricavarne fondi per aiutare i popoli in via di sviluppo.

C’è un concetto semplice e profondo, eloquente e terribile, esposto in poche parole nella lettera di San Paolo ai Filippesi: “Cristo Gesù, pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo”(2,6-8).
È la “kénosi”, parola derivante dal verbo greco “ekénosen”, che significa appunto “spogliarsi, svuotarsi, privarsi”. Forse nessun passo della Scrittura è così sconvolgente come questo. In poche parole viene focalizzata la figura di Cristo-Dio, nella sua eccezionalità: rinuncia all’ “onnipotenza” divina e scelta della “debolezza” umana. Su questa via, segnata dal sangue del Fondatore, si sono incamminati e continuano ad incamminarsi anche oggi i poveri cristiani come Celestino.

Mario Setta