LA SULMONA – CARPINONE

Pubblichiamo uno scritto sulla ferrovia Sulmona Carpinone, a firma di Giovanni Presutti, originario di Campo di Giove, residente in Sardegna, molto noto per numerose pubblicazioni. Conosciuto per il suo pregevole racconto: “Primiano. Storia di un brigante di primo catalogo” (1979) che ha conosciuto una recente riedizione nel 2012: “Il brigante Primiano”.

Cenno storico

Quale non fu la meraviglia dei nostri antenati quando nel 1897 il classico fischio dell’ansimante vaporiera all’uscita dell’ultima curva annunciò il primo arrivo del treno. A Campo di Giove avvenne il 18 Settembre. Nei  paesi montani del centro Abruzzo e del Molise, quel giorno fu festa grande con brindisi in tutte le stazioncine della linea. In provincia dell’Aquila ce n’erano 6, in quella di Chieti 1 e di Isernia 7, su un totale di 118 chilometri.

Nel dopoguerra, il gran lavoro per la ricostruzione consentì negli anni Cinquanta-Sessanta la rinascita dell’Italia che approdò al miracolo economico. Molte famiglie ebbero la possibilità di acquistare la storica Fiat 600. Di conseguenza l’uso del treno quale mezzo di viaggio venne via via a diminuire. Così, si cominciò a parlare della possibilità di effettuare il taglio dei cosiddetti rami secchi delle ferrovie. La linea Sulmona-Carpinone-Isernia figurava nell’elenco delle tratte improduttive da chiudere al traffico passeggeri.

Il 10 dicembre 2011 è avvenuta la chiusura.

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Breve riattivazione della linea a scopo turistico.

Tutto nasce tempo fa da un gruppo di appassionati stretti intorno all’associazione Le Rotaie Molise, che decide di dar vita all’organizzazione Transita Onlus presieduta dal dirigente a riposo delle FF.SS. dott. Francesco Tufano. Tale organizzazione si prefiggeva di noleggiare treni da far viaggiare sulla linea Isernia-Carpinone-Sulmona a scopo turistico, in concomitanza di occasioni speciali. Così è stato e la tratta, ribattezzata dalla stessa Transita Onlus La Transiberiana Italiana per la sua spettacolarità, ogni tanto si rianima con alcune corse.

L’attenzione dei mezzi di informazione ha dato ampio spazio alla cosiddetta Transiberiana Italiana che ha ottenuto titoli sulle principali testate quotidiane nazionali oltre che sulla stampa locale, sul web e in alcune trasmissioni Rai-TV.

Per quanto riguarda il bacino della Valle Peligna, interesse che ci riguarda più da vicino, l’attenzione è rivolta alle corse con treni d’epoca sulla linea Sulmona-Carpinone, ugualmente per scopi turistici e in coincidenza di eventi particolari. La denominazione “Transappennino” di questa tratta è ascrivibile  all’associazione omonima di Sulmona. Per l’incantevole peculiarità del tragitto, su queste corse affluiscono numerosi turisti provenienti anche da altre regioni, per un viaggio con la vecchia vaporiera, evocatrice di toccanti memorie. In ogni fermata, i passeggeri vengono accolti dai residenti con feste, canti, musiche e degustazioni eno-gastronomiche. Oltre al piacevole svago di una giornata libera degli adulti, per i più piccoli, queste corse rappresentano una nuova fantastica esperienza. Significativo è l’entusiasmo che i bambini manifestano nello scoprire finalmente l’emozione di viaggiare in treno ammirando le bellezze naturali del Parco Nazionale della Majella e nel contempo poter osservare tanti pittoreschi borghi disseminati lungo il percorso, i quali richiamano alla mente le suggestive costruzioni dei presepi, mentre nell’aria pare di avvertire il diffondersi di un suono natalizio di cornamuse.

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Natura della Transappenninica Abruzzese.                                      

Serpeggiando sui fianchi di colline e di monti, nelle prime decine di chilometri, dai circa 400 metri s.l.m. della stazione di Sulmona, il treno si inerpica sempre più in alto, divenendo dopo quella del Brennero, la linea più alta d’Italia con i 1.268 metri della stazione di Rivisondoli-Pescocostanzo. Una serie di ben 47 gallerie e di numerosi magnifici ponti sui 118 chilometri del percorso risolve il problema dei tratti più difficoltosi. Dopo la stazione di Cansano, sbucando dalla galleria Dirupo di 1.200 metri, la prossima stazione è a meno di un chilometro. Il convoglio s’addentra in luoghi d’incanto nel cuore della natura, tra un bosco di noccioli e il gradevole profumo di resina delle pinete e d’improvviso s’immette nella luminosità dei 1.100 metri s.l.m. di Campo di Giove. A poche centinaia di metri, la catena della Majella, alta e solenne, appare allo stupore dei viaggiatori. Poi, ancora tra estese pinete e lussureggianti faggete che fasciano la base della storica catena

montuosa, il treno imbocca la galleria Maiella di circa 2.500 metri, per sbucare presso la stazione di Palena.

D’inverno, lungo la Transappenninica si scopre un panorama di aspetto celestiale, paesaggi innevati che danno una  parvenza di atmosfera natalizia con rami di alberi appesantiti dalla neve. Nella prima metà del secolo scorso, le carrozze con dieci porte per fiancata e interni in legno caratterizzarono il convoglio trainato dalla mitica potente vaporiera 940, che superava l’ostacolo di accumuli di neve non eccessivi. Dopo le nevicate più abbondanti, diverse squadre di operai provvedevano a liberare i binari spalando la neve lungo la linea. Così, durante i mesi invernali, specie per i paesi dell’aquilano, il treno rappresentò l’unico imbuto attraverso il quale si poteva raggiungere Sulmona per acquisti di farmaci o di diversi altri generi i cui negozi allora erano solo nella città del poeta latino Ovidio.

Speranze, motivazioni e riflessioni.

E’ auspicabile che nelle sedi competenti venga esaminata la possibilità di riattivare giornalmente la linea Sulmona-Carpinone, intorno alla quale ruoterebbero le speranze di un maggiore incremento turistico dei centri toccati dalla ferrovia, che rappresenterebbe una iniezione ricostituente alla loro precaria economia.

Inoltre, è sperabile che questa linea entri a far parte del patrimonio Unesco. Non solo per l’emozione che suscita accostando l’uomo al cielo, ma anche per il fatto che lungo la sua tratta corre il filo della dolorosa storia dell’emigrazione della prima metà del secolo scorso: l’abbandono della casa paterna indotto dall’endemica povertà della terra natia. Si diceva di patrimonio Unesco, ebbene sarebbe un atto dovuto, perché la storia dell’emigrazione non può essere racchiusa solo nei libri, ma deve anche essere strumento evocativo rappresentato da un testimone quasi palpabile che è appunto la ferrovia, la quale ebbe una parte determinante nella vicenda di quell’esodo.

Le partenze avvenivano col treno proveniente da Pescara per Napoli salendo dalla Valle Peligna. Il piazzale della stazione era da tempo affollato di paesani per i saluti. All’arrivo del treno si ripeteva la penosa girandola di strazianti abbracci baci e lacrime di mogli, figli e parenti. Scene rimaste impigliate nella memoria dei più anziani che ne furono testimoni.

Gli emigranti erano diretti al capoluogo partenopeo per l’imbarco verso l’America. Andavano incontro a un destino ignoto, che subito riservò cocenti umiliazioni al primo sbarco a Ellis Island, l’isoletta a sud di Manhattan, ribattezzata non senza motivo dalla letteratura, isola delle lacrime. Era un labirinto ispettivo, descritto da Nino Di Paolo in una preziosissima pubblicazione sullo sradicamento dal luogo natio: l’emigrazione. Memoriale che rimarrà un monumento alla storia di queste vicende.

Quelle partenze, in molti casi rappresentarono la morte civile, per diverse persone furono infatti senza ritorno. Altri tornarono dopo alcune decine di anni, anzitempo invecchiati, per venire a morire nella loro terra, ove trovarono le mogli in età di lasciare il mondo con loro, e i bambini che avevano salutato alla partenza, ora erano irriconoscibili; ormai persone adulte con differente timbro di voce, quasi estranee al sangue paterno: questo rappresentò il prezzo da pagare per chi era nato in una terra ingrata, senza la colpa di aver ereditato la disperazione.