BOLLA DEL PERDONO A EXPO’, MASTROGIUSEPPE “NON E’ UN FATTO SOLO AQUILANO. NON ESISTE MENU’ DI CELESTINO”

Pubblichiamo una nota a firma del presidente dell’associazione celestiniana Giulio Mastrogiuseppe, il quale, in merito alla “Bolla del Perdono” al’Expo’ 2015  su proposta di un assessore aquilano, non solo sottolinea l’inesistenza di un “menù di Celestino”, perchè San Pietro da Morrone “era uno che mangiava veramente da povero eremita, bacche, radici, erbe spontanee e, al massimo del lusso quand’era papa, pane secco intinto in acqua e vino”, ma ribadisce che “Celestino non è un fatto prettamente aquilano”. Si chiede, dunque, Mastrogiuseppe “quale territorio dovrebbe andare a promuovere la figura di Celestino ad  Expo’ e, parallelamente, che c’entra Celestino con una kermesse come Expo'”. Cosa diversa, secondo il presidente, “sarebbe stata invece la valorizzazione del contributo storico dei celestini (che venivano dall’ordine Benedettino e quindi provetti agricoltori) allo sviluppo e alla bonifica del territorio (non aquilano, mi dispiace), all’introduzione di nuove tecniche e quindi di nuove culture e prodotti”.

 

“Lelio De Santis, amico e assessore al turismo al comune dell’Aquila, ha annunciato  ieri sul quotidiano “Il
Centro” la presenza della “Bolla del Perdono” ad Expo’ 2015 per fare di Celestino V il testimonial del  territorio aquilano. Avallato nientedimeno che dal parere di Vittorio Sgarbi, noto estimatore di Celestino, il quale sollecita l’invio della bolla a Milano, insieme magari ai bronzi di Riace, alla Pietà di Michelangelo e  alla Venere di Morgantina. Credo che ci siano un paio di riflessioni urgenti da fare sulla questione.
La prima ci riguarda direttamente: quale territorio dovrebbe andare a promuovere la figura di Celestino ad  Expo’ e, parallelamente, che c’entra Celestino con una kermesse come Expo’ che, peraltro, ha come tema  portante “Nutrire il pianeta – energie per la vita”.
Se Lelio pensa che Celestino sia un fatto prettamente aquilano, non solo è in errore ma è anche in  malafede, considerato che le sue stesse origini subequane dovrebbero ricordargli che L’Eremita del  Morrone, detto anche Pietro da Morrone non viene definito così per caso, ma in virtù del fatto che Pietro  diviene Celestino solo dopo una cinquantina d’anni durante i quali si è aggirato tra popolazioni, eremi,  anfratti e grotte di quel Tibet europeo che è il massiccio Majella-Morrone.
Non è l’edificazione di Collemaggio o la cerimonia d’investitura che rendono Celestino aquilano. Non più di quanto la consegna dell’Oscar abbia reso Fellini nativo di Hollywood, Renzo Piano parigino perchè ha fatto il Centro Pompidou a Parigi o Dario Fo perchè è stato premiato col Nobel a Stoccolma.

Tanto più che la  notizia della sua nomina al soglio pontificio la ricevette nella sua amata grotta sotto all’eremo di  Sant’Onofrio sul Morrone. Né risulta che i potenti del tempo, tipo Cola di Rienzo, andassero a visitarlo a  L’Aquila, anche perché non lo avrebbero trovato. Fatte queste precisazioni, mi auguro che Lelio voglia considerare anche la palese e indiscutibile  sulmonesità del nostro, ma soprattutto la sua “abruzzesità” (senza offesa per gli amici molisani o della  Terra di Lavoro che pur vantano titoli) intesa come valenza simbolica della cultura e di un pezzo  importantissimo di storia di questa regione, oltre che motore della realizzazione di un vasto sistema di  opere architettoniche, prime tra tutte sicuramente Collemaggio e l’Abbazia di Sulmona, ma anche il  sistema degli eremi, distribuite su un territorio di grande valore ambientale.
Questo esclusivamente a beneficio degli eventuali turisti, ai quali va trasmessa l’esatta dimensione della  grandezza di questa figura e delle innumerevoli suggestioni che possono trarre dall’impronta indelebile da  lui impressa sull’intero Abruzzo.
La seconda riflessione riguarda il tema di Expo’ e il “menù di Celestino” cui si fa cenno nell’articolo citato.
Proporre autentiche “bufale” storico-gastronomiche come questa non fa certo bene all’immagine che  associazioni come la nostra da anni tentano di veicolare riguardo al Papa-eremita. Non è serio e non è
all’altezza dello scenario che Expo’ mette a disposizione. Salvo che non intendiamo dare al mondo l’idea di
un posto dove s’improvvisano sagre paesane per turisti sprovveduti o “cene medievali” con altrettanto
improbabili menù.
Il menù di Celestino non esiste e non deve nemmeno essere diffusa l’idea che ci possa essere stato.
Innanzitutto perchè Celestino era uno che mangiava veramente da povero eremita, bacche, radici, erbe spontanee e, al massimo del lusso quand’era papa, pane secco intinto in acqua e vino.

Cosa diversa sarebbe stata invece la valorizzazione del contributo storico dei celestini (che venivano dall’ordine Benedettino e quindi provetti agricoltori) allo sviluppo e alla bonifica del territorio (non aquilano, mi dispiace), all’introduzione di nuove tecniche e quindi di nuove culture e prodotti, con un impatto  notevole sull’alimentazione dell’epoca e di quelle successive.
Ma, come al solito: ci piace “vincere facile”, ci si muove sempre in ritardo, con superficialità e senza considerare la dimensione delle occasioni che si perdono.
Comunque noi siamo a disposizione. Grazie alla Provincia dell’Aquila già nel 2013 avevamo cominciato un ragionamento sul tema e se l’ANCI, piuttosto che la Regione Abruzzo o lo stesso Comune dell’Aquila  vorranno coinvolgerci, saremo ben lieti di dare il nostro contributo.”

Giulio Mastrogiuseppe

Presidente Associazione Celestiniana