CHIUDE IL PUNTO NASCITA, SOLO ORA SI SVEGLIA LA POLITICA LOCALE
La politica chiude le stalle quando i buoi sono scappati. Sulla chiusura del punto nascita nell’ospedale di Sulmona è in corso in queste ore un incontro all’Aquila tra il sindaco di Sulmona Giuseppe Ranalli e il governatore regionale Luciano D’Alfonso (clicca), che, come commissario ad acta, ha firmato il decreto ministeriale con cui si fa riferimento alla riorganizzazione dei punti nascita regionali. Sembra essere segnato il destino del punto nascita sulmonese, alla stregua degli altri tre che non superano il famoso parametro dei 500 parti annui (Atri, Ortona e Penne), anche se il sindaco annuncia azioni eclatanti, come la riconsegna della fascia, qualora le sorti non volgano in positivo. Grave sarebbe che nessuno potrà più nascere a Sulmona, come grave sarebbe che le donne in gravidanza di mezzo Abruzzo non avranno più un punto nascita di riferimento. Tanti i politici locali che da ieri si stanno affrettando ad inviare dichiarazioni in valanghe di comunicati stampa sull’inacettabilità della chiusura della maternità, in un territorio vasto come il nostro. Dove, adesso, sembra sia diventato un privilegio anche poter partorire.
“Mi farò immediatamente promotrice di un’interpellanza nei confronti del ministro della Salute Beatrice Lorenzin, con l’obiettivo di impegnare il ministro ad un’ ulteriore valutazione sulla centralità della struttura sanitaria in una zona di montagna come la nostra, che ha caratteristiche particolari da tenere in assoluta considerazione ben al di là dei parametri individuati nei vari riferimenti normativi. Credo infatti che sul Punto nascita di Sulmona ci si debba muovere sulla linea di eccezionalità che ha portato alla deroga sulla chiusura dei tribunali minori. Ci sono specificità che vanno oltre la fredda logica dei numeri” afferma la parlamentare sulmonese Paola Pelino, alla luce del pressing operato dal ministero sulla Regione per la imminente presentazione del piano con i relativi tagli.
Un appello alle dimissioni di massa arriva dai consiglieri comunali di minoranza del Comune di Pratola Peligna, Antonio Di Nino e Antony Leone: “di fronte a questa ennesima mortificazione territoriale, non ci resta che dimetterci in massa. Sindaci, assessori, consiglieri tutti, di maggioranza e di minoranza, di tutti i livelli istituzionali. Del resto è palese il mancato peso che hanno rappresentato i Sindaci in primis, soprattutto quelli che avrebbero dovuto avere un rapporto privilegiato con la Regione” sostengono.
Si era affrettato, invece, il consigliere regionale Andrea Gerosolimo, a smentire “nel modo più assoluto” la notizia, scomodandosi a inviare tanto di comunicato stampa formale per contestare quanto fosse riportato sui social network, oltre che sulla stampa. Si era fatto garante “quale rappresentante di questo territorio in consiglio regionale, profonderò il massimo impegno per scongiurare la chiusura del punto nascite dell’ospedale di Sulmona”. Fa dietro front oggi sostenendo che sia tutta colpa del dirigente del dipartimento sanità della regione che ieri gli avrebbe fornito informazioni errate. Una fonte non buona, in sostanza, avrebbe commentato se fosse stato un giornalista. Afferma il politico che “poco professionale si è rilevato l’atteggiamento del direttore Muraglia, che, in quanto dirigente della pubblica amministrazione, avrebbe dovuto essere più chiaro e avrebbe dovuto riferire correttamente lo stato della procedura, invece che, trincerarsi dietro affermazioni che poi non hanno trovato effettivo riscontro nella realtà”. Sostiene, poi, di essersi fatto promotore dell’incontro tra il sindaco e il presidente della Regione e dichiara “qualora non dovessi ricevere adeguate rassicurazioni in merito, mi riterrò libero di esercitare il mandato conferitomi dagli elettori valutando, volta per volta, i provvedimenti che questa amministrazione regionale sottoporrà in consiglio”. Commenta, adesso: “mi fa specie come le istituzioni regionali possano pensare di chiudere un presidio geograficamente strategico come il nostro, esponendo numerose gestanti a gravi rischi per la salute propria e del nascituro. Non credo che questa scelta rappresenti il tanto decantato percorso che avrebbe dovuto portare a “nascere in sicurezza” in Abruzzo”.