BENNATO E FERLAINO A INTRODACQUA, VIAGGIO NELLA STORIA DEL SUD. (VIDEO)

Un viaggio nella storia del Sud, nell’anniversario della morte di un guerriero. Non il Regno delle Due Sicilie, ma il Regno del Sud, quello di tutto il mondo, ideologico, con le sue identità culturali e sociali che scavalcano quella concezione di mero degrado, desideroso di riscatto.  E’ stato l’argomento principe del convegno  che si è tenuto questa mattina nell’ aula consiliare del Comune di Introdacqua, promosso da il Vaschione, diretto da Vincenzo Colaiacovo. Un’interessante conferenza che ha acceso i riflettori sulla storia dei vinti, della gente del Sud, dei briganti, della questione meridionale, da un altro punto di vista. Napoli ha incontrato l’Abruzzo,  terra a nord del Regno, avvalendosi di due personaggi, anime autentiche della città partenopea: l’imprenditore Corrado Ferlaino, storico presidente del Napoli calcio e il cantautore napoletano Eugenio Bennato, fondatore negli anni settanta  della Nuova Compagnia di Canto Popolare, il più importante gruppo di ricerca etnica della musica popolare dell’Italia meridionale, interprete dell’anima musicale e ribelle del Sud.  A fare gli onori di casa il sindaco, Giuseppe Giammarco, e  l’assessore alla cultura, Orlando Orsini. A moderare l’incontro il giornalista Francobaldo Chiocci.  <I piemontesi hanno distrutto interi paesi del Sud.  Nel 1800 Napoli era la terza capitale d’Europa per cultura e arte. Con l’Unità d’Italia, invece, è cominciato il degrado e il fenomeno dell’emigrazione; i grandi porti da commerciali sono diventati di emigrazione verso le Americhe, spesso gli eroi della storia sono i briganti per la cronaca> ha detto Ferlaino, imprenditore  passato alla storia anche per aver regalato il sogno ai partenopei negli anni gloriosi del Napoli di  Maradona.

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Ad interpretare il sentire di un popolo intero, raccontandone il passato divenuto poi storia sociale e culturale del meridione, sfociando in veri e propri “canti popolari”,  è stato lo straordinario Bennato,   la cui musica è conosciuta e apprezzata in tutto il mondo. Autore sia del libro “Ninco Nanco deve morire” (Rubbettino 2013) , in cui il personaggio, divenuto simbolo della lotta contro i conquistatori, offre spunti sulla storia del brigantaggio e dell’emigrazione, sia  di “Briganti se more”. Il cantautore, prima di recarsi ad Atri per esibirsi in concerto  in programma nel pomeriggio nella “Notte dei Faugni”, ha ricordato quella lotta al brigantaggio, che con la legge Pica sospendeva garanzie costituzionali permettendo atroci violenze, parlando anche della storia di una ballata  scritta insieme a Carlo D’Angiò nel 79, che divenne talmente popolare da dimenticarne addirittura l’autore. Una canzone di lotta ai briganti dell’ottocento, da cui emerge il concetto della musica popolare che esiste da sempre. Una ribellione  alla censura nella frase finale , dopo  <a terra è nostra e non s’ha da toccà> .. <Ommo se nasce brigante se more/ ma fino all’ultimo avimmasparà/ e si murimmo menate nu fiore è una bestemmia per sta libertà> che fu sostituita con <una preghiera per sta libertà> cambiandone  radicalmente il senso e privandolo della forza combattiva. Ha imbracciato la sua chitarra e  ha intonato due sue ballate regalando momenti intensi al folto pubblico che emozionato lo ha applaudito a lungo. Prima di concludere la giornata con una conviviale presso i Cuciniello di Torre del Greco, nella“ Maestria”, nel corso del convegno si è parlato anche del generale Jose’ Borges, ucciso nel pomeriggio dell’8 dicembre 1861 a Tagliacozzo.Fucilato ingloriosamente alle spalle come un delinquente comune.  I Comitati delle Due Sicilie, delegazione Abruzzo,  hanno ricordato la figura militare che venne trucidata assieme ad altri 21 legittimisti nel 153esimo anniversario della loro morte. In occasione della ricorrenza hanno posto stamani un mazzo di gigli bianchi sotto il monumento di Michelina Di Cesare a Spoltore, brigantessa per amore, morta a soli 27 anni per difendere l’idea del legittimo regno duosiciliano cosi’ come il generale Borges.

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La storia racconta che Borges sbarco’ in Calabria per poi raggiungere gli Abruzzi nell’intento di sollevare le popolazioni contro i piemontesi. Visto il fallimento a causa dei tradimenti, gli uomini guidati da Borges decisero di riparare nello Stato Pontificio ma vennero intercettati dai bersaglieri del maggiore Enrico Franchini e dalla guardia nazionale di Sante Marie al comando del capitano Vincenzo Coltelli. Dopo un’aspra battaglia i lealisti si arresero. “Probabilmente fu offerta loro salva la vita, altrimenti non si spiega come dei militari, consapevoli del trattamento riservato dai piemontesi ai briganti, abbiano preferito la resa alla morte in battaglia”, ricorda Eugenio Donadoni ne ‘La storia negata’. I 22 superstiti furono trasferiti a Tagliacozzo, identificati, ma egualmente trattati come briganti: dopo poche ore, nel pomeriggio dell’8 dicembre del 1861, furono tutti fucilati ingloriosamente alle spalle. Nessuna traccia, nei verbali redatti dai bersaglieri, ne’ degli oggetti personali degli ufficiali ne’ quantomeno della cassa della spedizione, un tesoretto di ben 2.140 napoleoni d’oro che erano stati consegnati, unitamente alle credenziali, a Borges all’inizio della missione dal generale Clary e dal principe di Scilla Folco Ruffo. Non appena si seppe della notizia dell’eccidio, fu subito scandalo: non solo Victor Hugo scrisse un articolo molto critico contro il governo italiano, ma anche un capitano piemontese, il conte Bianco di Saint-Jorioz, qualche anno dopo in un libro sul brigantaggio parlo’ di Borges come di un gentiluomo e non di un brigante.

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