LA STRAGE DI PIETRANSIERI E LA SENTENZA TARDIVA DELLA CONSULTA
Pietransieri, frazione di Roccaraso. Da sempre, dall’eternità, una vita quotidiana uguale a se stessa: il sole, la pioggia, il succedersi delle stagioni, la casa, gli armenti da accudire, l’avara terra di montagna da zappare e coltivare. Un paese fuori dalla storia. Ma la storia arriva con la guerra. Proprio lì, proprio in quel posto si giocano i destini del mondo. La linea Gustav divide i due mondi in conflitto. Pietransieri è capitato a nord della linea, sotto il tallone teutonico. E’ il 21 novembre del 1943. Le forze del male inceneriscono quell’atomo di mondo. Centoventotto furono gli assassinati. Una strage senza una ragione, se non quella della più feroce gratuita criminalità. Senza il pretesto della rappresaglia per azioni partigiane che non c’erano state. Senza volto. Non si conosce, ancora, il comandante responsabile del crimine. Gli abitanti avrebbero dovuto lasciare la loro terra, la loro casa, i loro animali, rinunciare ad ogni mezzo di sostentamento per andare a vivere e ad elemosinare sui marciapiedi della città più vicina, Sulmona, già “gonfia” di sfollati. La popolazione inerme, bambini, donne e anziani indifesi, all’ordine di sfollamento, era riparata lontano, nei dispersi casolari di Limmari, una frazione della frazione. Una mattina, un manipolo di tedeschi fa irruzione nelle case, nelle stalle, nei pagliai e spinge fuori e ammassa gli atterriti abitanti intorno ad un tronco morto di un albero. Fa scoppiare, quindi, una mina e porta a termine la mattanza a colpi di mitragliatrice. Sotto il mucchio dei morti sopravvive – ferita – una bambina di sette anni. Virginia. La sua testimonianza è stata raccolta, alcuni anni fa, dagli studenti del Liceo scientifico di Sulmona e riportata nel libro “E si divisero il pane che non c’era”, ed. “Qualevita”. A loro, Virginia Macerelli ha ricordato che i tedeschi collocarono “una mina grande come un vaso di fiori….Io stavo in braccio a mia madre. Ero la più piccola dei figli… Mia madre aveva uno scialle sulle spalle e quando i tedeschi hanno mitragliato è caduta ed è morta all’istante. Io sono caduta sotto a mamma…Tutti strillavano…, che urli si sentivano! Poi è rimasto solo silenzio. Non si sentiva più niente. Tutto il mondo era silenzio. Ho visto mio fratello che mi stava vicino. Mi ha chiesto:”Virginia, è morta mamma? Gli ho risposto di sì. L’avevo, morta, su di me. Mio fratello aveva un buco da parte a parte, gli aveva trapassato l’occhio. Dopo che gli ho risposto, ha abbassato la testa ed è morto anche lui”.
In occasione delle ricorrenze della strage, personaggi importanti della politica nazionale hanno rievocato quell’eccidio incomprensibile, anche nella logica della guerra, e moralmente repellente. Da Saragat a Spadolini, da Scalfaro a Veltroni, a Mancino. Ma le semplici, povere pagine scritte da Italo Oddis, guardia comunale della piccola frazione, restano le più vere e strazianti. Testimoniano il dolore di un padre e di un marito, costituiscono uno straordinario documento storico e umano. Egli ha visto con i suoi occhi la scena della tragedia che si era da poco consumata. Da un suo compaesano aveva saputo di cadaveri davanti ad un casolare. Si precipita sul posto. Scrive: “Era buio e nebbioso e nel casolare non vidi nessuno; allora uscii, mi girai intorno ed ecco che ad una trentina di metri dal casolare vidi uno spettacolo orrendo; tutti i cadaveri riversati a terra a forma di cerchio intorno ad un tronco di albero che non esisteva più, bruciato dallo scoppio di una mina. Piangevo ed il cuore mi diventò di pietra, le gambe mi tremavano ed affannosamente cercavo i miei, ma non riuscivo a trovarli perchè era molto buio”. Con il lume di alcuni compaesani sopraggiunti, che erano alla macchia, Oddis riesce a riconoscere il figlio Evaldo, in ginocchio, con gli occhi aperti, lo sguardo rivolto verso l’alto. “Gli presi la testa fra le mani, pareva volesse dirmi qualcosa ma una pallottola gli aveva forato la tempia; l’abbracciai, lo baciai e ribaciai, e lo stesi poco lontano dal cerchio; poi presi mia moglie e la misi accanto a lui. L’altro mio piccolo bambino, Orlando, era sotto la madre in una pozza di sangue. Presi anche lui e lo stesi vicino alla madre e al fratello. Non mi usciva più una lacrima. Tutti pensavano di dare sepoltura ai cadaveri.” Ma il casolare antistante, che era pieno di foraggio, prende fuoco e illumina tutta la zona. Uno spettacolo d’inferno. In quel momento sentono tornare “i tedeschi da tutti i lati, sparando come pazzi”. Fugge con gli altri a valle, ma: “ prima di allontanarmi riabbracciai di nuovo mia moglie e i miei figli e li baciai imbrattandomi di quel mio stesso sangue”. Racconta, ancora, che i morti rimasero insepolti per quattro mesi perchè non fu possibile dare loro sepoltura a causa del manto della neve che li ricopriva.
I cannoni inglesi continuarono a colpire la zona e un elicottero a sorvolare tutti i tutti i giorni la Valle del Sangro e la terra di nessuno. Solo nella seconda quindicina del mese di aprile, di notte, con tre amici, uno di sentinella per prevenire l’arrivo dei tedeschi, scavarono una lunga fossa. Lavorarono per otto notti. Deposero i corpi l’uno accanto all’altro, li coprirono con degli stracci e con delle tavole bruciacchiate del tetto della masseria e li ricoprirono con la terra. Dopo averli sepolti tutti, fuggirono ad Ateleta, che era stata liberata dagli alleati.
Sono passati oltre settant’anni. Tardi, troppo tardi, con i tempi della storia, non della vita, una sentenza della Consulta ha dichiarato incostituzionali le norme che impediscono di agire in giudizio contro la Germania.
Virginia Macerelli, l’unica sopravvissuta, ora ha quasi ottant’anni, ne aveva solo sette, allora. Si sentirà soddisfatta, felice, nella sua infinita solitudine, per la sentenza che ha, finalmente, negato l’immunità giurisdizionale ai criminali dell’eccidio nazista di Pietransieri?
Dopo tanto tempo da quel silenzio di morte, non è ancora giustizia. Siamo ancora all’inizio. Virginia deve ancora attendere. Altre udienze, altri rinvii, fino all’ultima sentenza, quella della Cassazione. E a condizione che la Germania acconsenta al giudizio.
Il sindaco del Comune di Roccaraso ha esultato per la sentenza:“ ci permette di portare avanti la nostra battaglia che non è finalizzata all’aspetto economico ma al riconoscimento di un principio fondamentale di tutela della memoria delle nostre vittime. Questa pronuncia ci legittima e ci dà la forza di andare avanti insieme agli altri Comuni italiani che da tempo hanno avviato battaglie analoghe. E’ un riconoscimento che dobbiamo alle vittime della barbarie nazista e alle loro famiglie”.
Ezio Pelino