“IL RIGOLETTO” AL CANIGLIA COME NEL 1933

Sulle note del Rigoletto, opera lirica in tre atti che, insieme a Traviata e Trovatore è parte della cosiddetta “trilogia popolare” di Giuseppe Verdi, sono state aperte le rosse tende di velluto del Teatro Maria Caniglia, dopo due anni di interventi di consolidamento e restauro che hanno riguardato il palcoscenico e l’impianto scenico.  L’opera lirica, su libretto di Francesco Maria Piave, tratta dal dramma “Le Roi s’amuse” di Victor Hugo del 1832, è stata rappresentata per la prima volta al Teatro La Fenice di Venezia l’11 marzo 1851 e nel teatro sulmonese nel 1933, proprio in occasione della sua inaugurazione. A distanza di ottant’anni, in occasione di questo evento che resterà nella storia del teatro Maria Caniglia, il numerosissimo pubblico ha assistito alla rappresentazione diretta dal regista e scenografo Enrico Castiglione con costumi di Sonia Cammarata e il coinvolgimento di sarte e truccatrici locali. L’orchestra sinfonica del Festival Euro Mediterraneo insieme alla Nuova Amadeus Chamber Orchestra sono stati diretti dal maestro Gianmichele D’Errico. Il maestro Francesco Costa ha invece seguito il Coro Lirico Siciliano.

Il dramma verdiano è ambientato a Mantova e nel suo territorio durante il XVI secolo. Rigoletto è il deforme e provocatorio buffone di corte che si beffa con cattiveria di tutti i cortigiani sotto la protezione del duca di Mantova. Il giullare ha una figlia segreta, sua unica vera ragione di vita, avuta dalla donna amata ormai morta. Severo e insensibile con tutti, con la figlia Gilda Rigoletto è invece un padre amorevole e riguardoso che si preoccupa di tenerla lontana dal mondo traviato della corte. Per uno scherzo del destino la giovane donna diventa oggetto dell’attenzione del suo esuberante e dissoluto padrone. Gilda prova un serio e reale sentimento d’amore nei confronti del giovane che si è presento a lei con un inganno, spacciandosi per un povero studente, Gualtier Maldé. Nel frattempo, le reazioni da parte dei cortigiani al comportamento del buffone, danno vita ad una serie di malefatte: Gilda, la figlia di Rigoletto viene rapita e violata dal Duca e il buffone per vendicare l’offesa paga Sparafucile, un bandito, perchè uccida il Duca di Mantova. Maddalena, la sorella del fuorilegge, anch’èlla innamorata del Duca, convince il fratello a non uccidere il giovane. A morire, per mano di Sparafucile sarà Gilda travestita da uomo, che invece di fuggire per Verona come le aveva ordinato il padre, si sostituisce all’amato.

L’opera di Giuseppe Verdi è un coinvolgente dramma di passione, tradimento, amore e vendetta, dove il destino e la fatalità cadenzano l’intera trama. La storia descrive pienamente le differenze sociali della vita di corte, l’indiscutibile potere della nobiltà, il vantaggio dell’essere compiacenti e la triste condizione delle donne: stati sociali che durante il periodo di stesura dell’opera, appartenevano ancora alla società del tempo e nei quali poteva facilmente rispecchiarsi. Guardandolo sotto quest’ottica, Rigoletto offre una combinazione perfetta di ricchezza melodica e potenza drammatica, dove tutti i personaggi compreso il coro, descrivono unanimemente questo vortice di sentimenti, dove il tema della maledizione affiora ricordando l’inevitabile destino.
I bravissimi interpreti del dramma verdiano sul palco del Maria Caniglia hanno dovuto fare i conti con una scenografia che non ha agevolato l’avvicendarsi dell’opera. L’intensità dei sentimenti e delle magnifiche arie sono stati incanalati nelle geometrie di un labirinto spigoloso che hanno reso i movimenti sul palcoscenico meccanici e tecnici, facendo perdere di fluidità e di libertà la rappresentazione. L’impressione era quella che, in alcuni momenti, i protagonisti fossero più attenti a destreggiarsi tra le pedane, facendo dissipare quel sentimento di impeto, spontaneità e ampiezza propri dell’’opera.
Durante la celebre aria di Gilda “Gualtier Maldé… Caro nome…”, ad esempio, sembrava che la brava cantante fosse stata costretta quasi all’immobilismo su una delle anguste pedane, facendo perdere e limitare quel trasporto, quell’espressione di gioia e felicità che erano negli intenti dell’autore.
I sontuosi costumi molto vicini alla tradizione veneziana, ricchi di dettagli e coloratissimi, hanno ravvivato lo sterile e monotono (sempre lo stesso in tutti e tre gli atti) impianto scenografico.
Rappresentare un labirinto di passioni e sentimenti, dove i protagonisti restano amaramente imprigionati: questo è stato l’intento del regista e scenografo. Non volendo dubitare di queste serie intenzioni, nella realtà all’intera rappresentazione è mancata una cosa: un punto di contatto. La convergenza di antico e moderno, tra Verdi e il suo esecutore, tra la scenografia moderna, minimalista e metafisica e i baroccheggianti e sontuosi costumi. La scelta di mescolare il moderno con l’antico, a parere di chi scrive, non ha prodotto una convincente fusione. Sarebbe stato più opportuno dare una visione interamente moderna del dramma e nella sua totalità, come è accaduto per la “Maria Stuarda” di Gaetano Donizzetti, messa in scena alla Fenice di Venezia nel 2009 dal regista Denis Krief, alla quale Gianmichele D’Errico si è sicuramente ispirato, vista la netta somiglianza della scenografia.
In tutto ciò resta il merito, ad una giovanissima compagine di musicisti e cantanti, di aver interpretato con somma bravura ed intensità il dramma verdiano, regalando al pubblico, anche il meno esperto, emozioni forti, indimenticabili ed inaspettate.
Che questo spettacolo sia, per il teatro Maria Caniglia un nuovo e fiducioso inizio, dedicato soprattutto ad un coinvolgimento maggiore della popolazione, soprattutto giovanile, non solo in importati eventi come questo.

Lucrezia Daniele

foto g.s.

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