L’EPOPEA DI CAMPO DI GIOVE

Lettera a firma del professor Italo De Vincentiis, 90 enne di Campo di Giove, il quale salvò fuggiaschi che attraversarono il sentiero della  Libertà e racconta i fatti inerenti il periodo della seconda guerra mondiale. La lettera è stata letta dalla giovane Olga Di Gesualdo nella seconda tappa del Freedom Trail 2013 a Campo di Giove (clicca qui).

“Caro Sindaco,

giorni fa mi hai chiamato per dirmi di aver ricevuto una telefonata emozionante: era un signore che mi cercava perché lo avevo salvato durante la guerra nel 43’ e ti ho risposto che non sapevo chi potesse essere perché a quell’epoca ne avevo salvati tanti. Mi hai anche detto che di tutto questo in paese non si sapeva nulla e che lo avrei dovuto scrivere. Cosa che farò.

Intanto ho ricevuto la telefonata da te preannunciata: era l’Ing. Cangini figlio del capitano Gianfilippo Cangini che io avevo salvato nello scontro con i tedeschi a Monte Coccia nell’Ottobre del 43’ caricandomelo sulle spalle perché ferito e sotto la minaccia di una machine pistol lo portai quasi correndo fino a nasconderlo nel bosco.

Ma tutto questo è stato già scritto ne “Il ragazzo delle valle” e riportato sia da Giovanni Presutti in “Rauss” che dallo storico Prof. Ezio Pelino su “E si divisero il pane che non c’era”.

Ora però, raccogliendo il tuo invito, voglio scrivere quello che di straordinario abbiamo fatto in quell’epoca io e molti campogiovesi.

L’ufficiale sud africano Uys Krige nel suo libro “Libertà sulla Maiella” e riferendosi ai prigionieri inglesi salvati dai campogiovesi parla di una vera epopea di Campo di Giove. È stata una bella pagina ma io credo che la vera grande epopea la scrivemmo noi campogiovesi e aiutammo centinaia e centinaia di italiani di tutte le regioni e di diverse professioni che attraversavano il fronte in cerca della libertà.

Qui è necessario che io descriva come è stato possibile realizzare questa grandiosa operazione.

Come descritto ne “ Il Ragazzo della valle” mi trovai dopo essere stato catturato a ricoprire il posto di interprete presso il comando tedesco.

Avevo solo diciassette anni ma ricordo benissimo le cose più importanti.

Dall’8 Settembre fino all’11 Novembre del 43’ giorno dello sfollamento in casa mia furono nascosti:

– il capitano Gianfilippo Cangini di cui ti ho parlato e che tenemmo in casa per una settimana per curarlo delle ferite e per nasconderlo ai tedeschi che lo cercavano.

– la moglie e la figlia del capitano Auriga Comandante dei Carabinieri di Sulmona che aveva rifiutato di collaborare con i tedeschi e si era dato alla macchia, fu poi promosso Generale e quando organizzò nel 1959 la venuta di Charles De Gaulle a Milano mi invitò a partecipare ma non potei essere presente.

– i figli del più grosso commerciante di tessuti di Sulmona, noto ebreo di nome Fuà, Sergio e Oscar, il quale riuscì a passare dalla parte degli inglesi si unì alla brigata Maiella di Troilo e purtroppo morì giovanissimo nella liberazione di Brisighella.

Inoltre i fratelli Morrocco, Pasquale e Vittorio.

Il giorno prima dello sfollamento l’organizzazione Todd, ente paramilitare tedesco che utilizzava i civili catturati per lavoro che altrimenti avrebbero dovuto fare i militari tedeschi, rastrellarono una decina di uomini “invitandoli” a rimanere a Campo di Giove altrimenti sarebbero stati trasportati in un’altra parte del fronte. Fu quindi gioco forza accettare, ma insieme creammo una piccola organizzazione per aiutare tutti coloro (ed erano tanti) che passavano per Campo di Giove verso il guado di Coccia.

Di quei “ragazzi” ricordo Fortunato Rossetti, Albo Antonetti, Tamburro (il nonno dell’attuale Piccirilli) e Matteo Di Fellacchie a casa del quale a Piazza delle Logge spesso ci ritrovavamo la sera. Questi “ragazzi” erano in contatto con gli sfollati nascosti nel bosco della difesa e da loro venivano informati quando qualche gruppo saliva da Sulmona verso Campo di Giove per passare il fronte.

Fortunato o stava con i ragazzi dall’inizio o si unì a loro essendo stato il primo a rientrare dopo lo sfollamento. Comunque fu lui che mandammo a chiamare gli inglesi il 6 Giugno.

Quelli della difesa avevano le notizie da un gruppo che lavorava nella valle Peligna.

In tal modo uno dei ragazzi andava ad avvertire quelli che arrivavano dalla mulattiera di Sulmona indicando la strada da seguire per evitare le sentinelle tedesche che erano di guardia.

Io ogni giorno stando al comando conoscevo la disposizione delle sentinelle e li avvertivo.

Spesso quelli che arrivavano furono consigliati di evitare Campo di Giove passando da San Matteo per la stazione ferroviaria e da lì alla strada del cimitero che porta verso Coccia.

Caro sindaco, in quel modo salvammo centinaia di uomini che potevano essere catturati dai tedeschi, debbo dirti inoltre che aiutai anche quelli che stavano nella difesa. Infatti dopo tre giorni dallo sfollamento arrivarono dei camion tedeschi che scaricarono 54 mucche razziate chissà dove! Come stalla fu usata la chiesa di Sant’Eustachio, e a guardia c’erano due austriaci che distrussero il Parco della Rimembranza. Questo era stato creato negli anni 20’ per ricordo dei campogiovesi caduti nella guerra 15-18’. Intorno ad ogni albero era stato posto una specie di cilindro fatto di stecche di legno dipinte in verde e tenute insieme da due cerchi di ferro. Su ogni cilindro c’era una piastra di metallo rivestita di smalto bianco con sopra scritto il nome del caduto, la data e luogo di nascita, e la data e luogo di morte.

Dalle date dei morti (quasi tutte uguali 15-18’) e dal luogo di morte spesso con nome tedesco, i due austriaci avevano capito che si trattava di un omaggio ai loro vecchi nemici vincitori e con rabbia distrussero tutti i cilindri di legno e ne fecero un gran falò.

Intanto però ogni mattina io dovevo andare con due dei “ragazzi”, consegnare loro le mucche e indicare ai due austriaci dove sarebbero andate a pascolare. Una mattina uscì dal bosco Murtaret e mi disse che gli sfollati nel bosco avevano una gran fame ed erano senza viveri. Allora feci sparire una mucca nel bosco ma al ritorno i due austriaci volevano quasi fucilarci perché non riuscivano a capire come avevamo potuto perdere una mucca.

Una volta però mi portarono al comando un gruppo di fuggiaschi fra i quali ricordo:

– il dottor Ciccone, medico, fratello del mio professore di italiano al liceo “Ovidio” di Sulmona

– i fratelli Gianmarco Ing. Achille e quello più grande Ufficiale dell’Aviazione

– il prof. Liberatore di Vinchiaturo, degli altri non conosco i nomi ma furono tutti rilasciati (ed in questo mi aiutò Diomira Chiaverini che era ancora rimasta a casa mia) perché trovammo mille scuse: un bambino malato; due vecchie sorelle che i nipoti venivano a trovare; i vestiti pesanti per i figli che non avevano fatto in tempo a prenderli durante lo sfollamento ecc….

 

Ma a questo bisogna aggiungere due episodi (vedi testimonianze alla fine) che mi permisero di salvare tante altre persone.

Primo episodio: ad un certo momento prima ancora dello sfollamento quando il comando tedesco di paracadutisti era a casa Duval dove io facevo l’interprete, arrivò un camion di SS il cui comandante aveva una lista di 32 nomi con l’indirizzo (!) da catturare per il lavoro della Todd.

Fui invitato con mio vero terrore ad accompagnare i tedeschi casa per casa. Per fortuna le SS rimasero nel camion e per la requisizione dei 32 nominativi furono incaricati i tedeschi che stavano sul posto comandati dal mio amico (!) Sepp Sneider giovane austriaco col quale avevo stretto un buon rapporto. Ricordo che usciti dal comando mi misi sotto braccio al sergente che guidava il drappello e in Piazza delle Logge dove adesso c’è il monumento mi misi a cantare:

“Annascunneteve vanne acchiappenne” rivolto verso la casa di Marco Cellante dove sapevo che erano nascosti alcuni concittadini.

Il tam tam funzionò e non ne presero nessuno!

Secondo episodio: Intanto il comando tedesco con l’arrivo degli alpini che sostituirono i paracadutisti era passato da casa Duval a casa mia e quindi mi ritrovai a fare l’interprete con la mia vecchia camera a disposizione.

Ho premesso questo per raccontare quello che accadde la notte del 23 Febbraio 1944: in diciassette si nascosero in camera mia attaccata al comando tedesco. Era una notte terribile vento e bufera con due metri di neve che avevano impedito a questo gruppo di procedere verso Coccia.

Fui avvertito da Aldo Capaldo e non potendo fare altro li feci entrare dalla finestra della mia camera che dava sul vicolo. La cosa fu facilitata dalla tanta neve che permise di raggiungere la finestra abbastanza facilmente. Ricordo che fra essi c’era il Dott. D’Attilio di Roccaraso con un Avvocato di Napoli, suo amico, e uno dei fratelli Tirone di Sulmona, degli altri non ho mai conosciuto i nomi.

Tutto il giorno rimasero nascosti a casa e la notte successiva alcuni tentarono ancora la traversata e altri tornarono a Sulmona.

Quando oggi ripenso a quegli episodi che io avevo creduto realizzati per il mio coraggio capisco invece che era stato solamente incoscienza giovanile.

Caro sindaco, fra prigionieri inglesi e cittadini italiani, i campogiovesi salvarono la vita a centinaia di persone o quanto meno permisero loro di raggiungere la libertà. Questa fu la vera epopea di cui parla Uys Krige. Quello che ha fatto a quell’epoca Campo di Giove non l’ha fatto nessun altro paese delle valle Peligna e di tutto l’Abruzzo: aggiungi che non abbiamo avuto un morto, un ferito, un catturato.

Tutta l’ operazione era nata spontaneamente ma era stata condotta con grande coraggio “altrimenti Kaputt” e con ottima organizzazione.

Io credo sindaco che i campogiovesi queste cose le debbano sapere e credo anche che questo paese meriti un alto riconoscimento. Sono state date medaglie all’epoca per molto meno!

Tu ti dovresti attivare perché Campo di Giove merita una medaglia d’oro per quell’epopea costruita con amore, altruismo e disinteresse.

Ma devi far presto: io ho imboccato l’ultimo miglio, il traguardo è ancora lontano, ma arriverà. Tieni presente, parafrasando quello che ha scritto di me il Prof. Ezio Pelino sul libro “E si divisero il pane che non c’era”, che io sono l’ultimo testimone.

Cari saluti dal Prof. Italo de Vincentiis

Testimonianze:

1. “Rauss” di Giovanni Presutti; 2. Giovanni Presutti in persona, ancora vivo e vegeto; 3. “Il ragazzo della valle”; 4. “E si divisero il pane che non c’era” di Ezio Pelino; 5. La Signora Wanda Notarmuzi; 6. tutti i campogiovesi che hanno almeno 80 anni e che, se non tutto, parte di quei fatti ancora li ricordano