PUNTI NASCITA, ECCO DOVE SONO NATI I BIMBI DEL CENTRO ABRUZZO
Tornare ad avere fiducia nel reparto Maternità, come salvezza contro la chiusura. Che per scongiurare la soppressione del punto nascita nell’ospedale di Sulmona sia necessario un potenziamento, ma soprattutto un ritorno a partorire nel nosocomio sulmonese, che negli ultimi anni ha assistito a una migrazione di donne in altri ospedali, lo sa bene la città, che ha registrato numeri troppo bassi per la resistenza alla chiusura. 226 nel 2014, a fronte del parametro dei famosi 500 parti minimi per evitare la chiusura, secondo il decreto. Sul punto nascita la battaglia che si combatte fa leva sulla deroga al numero dei parti e sulla orografia di casa nostra.
Dei 436 nati in totale nel centro Abruzzo nel 2014, 46 sono stati registrati nell’ospedale di Pescara, 37 in quello diAvezzano, 36 a Chieti, 19 a Isernia, 13 a L’Aquila, 8 a Roma, 19 in altre realtà. Non passano inosservati i 24 del nosocomio di Capua (15 mamme da Castel di Sangro -paese in cui sono nati 52 bimbi di cui 8 nell’ospedale sulmonese e 13 ad Isernia-, 3 da Roccaraso, 1 da Barrea, 1 da Pescasseroli, 3 da Ateleta, 1 da Scontrone) e gli 8 in quello di Napoli (3 da Castel di Sangro, 2 da Ateleta, 1 da Raiano, 1 Rivisondoli, 1 da Pescasseroli). Un quadro che emerge dai dati forniti ieri nell’assemblea a palazzo San Francesco (CLICCA) dai socialisti, per voce di Luciano Fagagnini, esponente del partito, convinto che <occorra un immediato processo riorganizzativo della struttura, concreto anche drastico e coraggioso, che coinvolga tutti gli operatori del settore, dall’ausiliario, ai medici, al direttore generale, che comporti insieme i necessari adeguamenti strutturali in termini di logistica e di attrezzature. Solo in questo modo si recupera il numero di partorienti sufficienti a garantire un minimo di sicurezza nel nostro presidio ospedaliero> Dai dati emerge che sui 226 bambini nati a Sulmona nel 2014, 165 sono sulmonesi, di cui 116 sono le mamme che hanno scelto il SS Annunziata per partorire, in 49 si sono recate in altre strutture (12 a Pescara, 12 ad Avezzano, 13 a Chieti, 6 all’Aquila, 1 a Roma e 5 altrove). Se i neonati pratolani sono 58, le donne che sono rimaste nel nosocomio peligno sono 32 (18 a Pescara, 4 ad Avezzano, 3 a Chieti 1 a Roma e 1 altrove). Su 16 scannesi 5 hanno scelto Sulmona, 7 Avezzano 2 L’Aquila e 2 Roma. Molteplici gli elementi che spaventerebbero le donne spingendole a far nascere i propri figli altrove, tra cui proprio il rischio che il reparto possa chiudere da un momento all’altro e la mancanza di sicurezza. 20 i neonati raianesi: 9 a Sulmona, 3 a Pescara, 6 a Chieti, 1 a Roma e 1 a Napoli)
<Da un’analisi attenta della situazione demografica e dei flussi delle donne partorienti del comprensorio sulmonese (Istat 2013), si evince che l’indice di natalità e’ molto basso (5,9 per mille abitanti) con la nascita di soli 475 bambini che potrebbero essere invece ben oltre i 600 se l’indice di natalità fosse pari a quello provinciale dell’8 per mille abitanti> ha continuato Fagagnini. <Un confronto con altre realtà italiane “virtuose” ( Regione Veneto) rileva che la nostra situazione in termini demografici e di morfologia del territorio è strettamente paragonabile a quella della provincia di Belluno ove esistono ben 3 punti nascita ( in cittadine di 35mila – 20mila – 4mila abitanti) a presidio di una popolazione di circa 70 mila abitanti come quella della ex ASL di Sulmona>
Frenare il flusso migratorio di donne che non hanno fiducia nell’ospedale di Sulmona, secondo i socialisti sarebbe, dunque, un punto fermo per scongiurare la soppressione del reparto maternità. Convinti che l’esigenza primaria sia la sicurezza delle donne pronte a partorire, i socialisti hanno poi affermato che <al di la di ogni manifestazione pubblica in odore di populismo e demagogia, e’ inutile salvare il punto nascita di Sulmona se si lasciano le cose come stanno: non sarebbe garantito il diritto alla sicurezza dei cittadini. Tuttavia il punto nascita e’ strategico, non ha senso un ospedale senza Il processo riorganizzativo e di investimento deve riguardare non solo il reparto di ginecologia ma tutto l’ospedale in particolare nei suoi punti critici prima che questi alla fine muoiano per consunzione o semplicemente per aver raggiunto il punto critico di inefficienza o pericolosità. Si tratta di aprire una vera e propria vertenza sanità con la Regione nella quale pretendere una chiara e concreta definizione del futuro dell’ospedale di Sulmona, pretendere che si realizzi in esso una struttura specialistica di “eccellenza” di dimensione sovrazonale a servizio non solo della ASL ma anche sia di attrattiva per tutta la popolazione regionale e nel contempo sia di stimolo per tutto l’ospedale a mantenere e migliorare tutte le professionalità esistenti altrimenti destinate ad un lento, inesorabile declino. Invertire la logica di accentramento delle strutture, valida per le emergenze-urgenze e delocalizzare in strutture periferiche servizi di alta specializzazione significa garantire lo sviluppo economico e sociale delle zone meno popolose votate, invece, al progressivo impoverimento. >